lunedì 31 marzo 2014

Missione di salvataggio

Il primo incontro con Lazzaro è stato imbarazzante. È riuscito a mettersi in contatto con me, così sono andato a prenderlo all’aeroporto. A causa della mia paranoia, l’ho costretto a dover imparare una serie di segnali in codice e parole d’ordine, e solo quando siamo arrivati alla mia macchina ci siamo mostrati i nostri rispettivi segni. «Piacere, D.E.M.» faccio io.
«Piacere, Lazzaro.» risponde lui. Ci stringiamo la mano con calore.
Entriamo in auto «Prima di tutto ti ringrazio ancora per aver risposto al mio appello, e ti chiedo mille volte scusa per averti trascinato fin qui a risolvere i miei casini.» dico.
Lui nicchia: «È sempre un piacere aiutare gli altri.»
Ho letto il post che ha mandato prima di partire: vorrei fargli delle domande, chiedergli come sta, chi voleva salvare, ma un senso di pudore mi inibisce. Per fortuna è lui a spezzare il momento di silenzio: «Da quanto hai scritto il carabiniere dovrebbe essere ancora vivo. Lo sai, vero, che il mio potere funziona solo su chi è morto?»
Sospiro. «Lo so, ma non sapevo a che santo votarmi. Hai letto il mio post, sai che casino ho combinato. Sono stato preso dal panico, è un miracolo che non sia svenuto lì. Onestamente non so come ci dovremmo comportare quando entreremo nella sua stanza.»
«Qualcosa ci inventeremo.» risponde lui, cercando di tranquillizzarmi. «Sai dove lo tengono?»
«Per fortuna è qui vicino, in Ancona, all’ospedale regionale. Però c’è un problema.»
«Quale?»
«All’inizio non era stato fatto trapelare nulla, per salvare la sua copertura, ragion per cui ho dovuto usare il mio potere per rintracciarlo. Poi però qualcuno, l’altro giorno, ha parlato e l’ospedale si è riempito di giornalisti.»
«Un bel problema. Cosa pensi di fare, ora?»
Gli spiego il mio piano. Per fortuna, avevo avuto modo di girare l’ospedale andando a fare visita a un conoscente ricoverato, quindi so più o meno come muovermi all’interno.
Finisco la spiegazione. «È abbastanza rischioso.» fa lui.
«Lo so, ma è il meglio che sono riuscito a escogitare. Se hai un’idea migliore sono tutt’orecchi.»
«Non saprei da che parte cominciare.» confessa.
«Siamo d’accordo allora.» rispondo io accendendo la macchina «Propongo di andare subito.»
«Ok.»
Entriamo mescolandoci col flusso continuo di visitatori; per fortuna l’atrio è molto grande e dispersivo. Arriviamo agli ascensori senza problemi, dribblando anche un paio di teleoperatori della RAI che stanno prendendo un caffè da una macchinetta, e ci ritroviamo nel reparto di rianimazione rimanendo praticamente anonimi. Apro la porta antipanico e dò un’occhiata: l’orario di visita è quasi finito, ma ci sono ancora diverse persone oltre il personale ospedaliero. Cerchiamo un bagno. Entriamo e apro la borsa che ho portato con me: dentro ci sono due divise da O.S.S. «Spero che ti stia bene.» faccio a Lazzaro «Mi sono dimenticato di chiederti la taglia.»
«Non fa niente.» risponde lui, e lo ripete anche quando scopriamo che la sua gli sta larga. Usciamo, cercando di rimanere disinvolti e iniziamo a cercare la capo-sala. Giriamo un angolo e a momenti mi viene un colpo. «Che c’è?» chiede Lazzaro. Lo spingo dentro uno sgabuzzino. Poco dopo, un tizio con gli occhiali ci supera senza accorgersi di noi «Quello lo conosco, fa il giornalista.» spiego a Lazzaro «Se mi avesse visto…»
Continuiamo a cercare l’ufficio della capo-sala. Per fortuna la troviamo, ed è anche sola.
«Voi chi siete?» chiede lei. Lazzaro chiude la porta, io invece le ordino: «Portaci dal carabiniere ferito. Se te lo chiedono, rispondi che è solo un controllo di routine.»
«Il carabiniere ferito è morto dieci minuti fa.» risponde meccanicamente la donna «Sono andati a chiamare la famiglia.»
Panico. Lazzaro si piazza davanti a me e chiede alla donna: «È ancora nella sua stanza?»
Lei non risponde. «Chiediglielo tu.» mi fa Lazzaro. Non reagisco. Allora mi strattona «D.E.M.! Svegliati!»
«OK, ti ordino di rispondergli, anzi, d’ora in poi sarà lui a darti ordini.»

Ora è tutto nelle mani del mio socio.

venerdì 28 marzo 2014

Preoccupazioni fondate

Se Max non avesse scritto dove era andato a finire, io mi sarei preoccupato seriamente.
Già qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio che mi diceva di non cercarlo, poi ho letto dei post di voi dove siete capitati in situazioni spinose, infine la comunità di super intorno al mio quartiere sembra essere scomparsa.
All'ospedale non c'era più nessuno, a casa di Steel non ho ottenuto risposte e la sua famiglia sembrava essersi trasferita da poco, spero non stiano facendo esperimenti su di lui e che sia riuscito a sfruttare al meglio le sue potenzialità.
Forse il mio sangue lo ha aiutato o forse no, ma a me piace pensare positivo e credere che abbiamo apportato un bagliore di luce nelle nostre vite, reciprocamente.
Vi date da fare tutti per gestire i vostri talenti al meglio, però fate più attenzione, soprattutto Lazzaro.
Io capisco il tuo desiderio di riportare indietro chi non ha meritato la propria morte, ma disturbare i defunti è una scelta che porta gravose conseguenze; se all'improvviso iniziassero a girare persone date per morte, la gente comincerebbe a fare domande o ancor peggio ... tratterebbe i redivivi come dei mostri.
Ho letto sul giornale di quel tizio a Roma che si è svegliato durante il suo funerale, sei stato te? In ogni caso ho un'idea, seppur strampalata di come potresti provare a usare il tuo potere.
Io ho scoperto, senza volerlo, di avere una parte attiva che blocca il funzionamento delle cose/poteri/organi e se tu ne avessi una simile per "portare in vita" ciò che io blocco? In fondo il tuo potenziale non è del tutto scoperto, un tentativo sarebbe interessante.
Non so se ricordate le persone a cui ho bloccato l'uso della voce, ultimamente ho scoperto che versano ancora in quello stato ed è diventato un caso di studio; fin troppi laringoiatri e professionisti del settore si sono trasferiti qui per convegni e visite specialistiche, vorrei che Lazzaro venisse a tentare di sbloccarli, poiché nessuna medicina sembra fare effetto e io non ho la capacità di invertire il mio segno.
Deus EX Machina, un carabiniere sotto copertura in mezzo a quella gentaccia? Felice che tu l'abbia salvato, ma magari digli di dimenticarsi il tuo volto, in quel momento capisco l'agitazione e il fatto che te ne sei scappato via senza pensare, ma è molto importante che tu dia quel comando.
Direi che, per ora, dovresti un attimo tenere un basso profilo e nasconderti per un po', magari lontano da dove vivi normalmente, contattami in privato e ti dirò dove alloggiare da queste parti, credimi ... viviamo parecchio distanti e qui non ti conoscerebbe nessuno, valuta tu la proposta.
La soglia, ti do il benvenuto tra di noi, potere senza dubbio interessante il tuo, ma non ho ancora ben capito come funziona, sei tipo il bambino di "Il sesto senso"? Non ti sto offendendo, è solo per capire.
Se scrivo questo post è per dirvi di badare bene a usare i vostri talenti, perché qui quelli che conoscevo sono stati prelevati da qualcuno (probabilmente gli stessi che hanno preso Max Steel), e di certo io non considero un bene lo sparire nel nulla da un giorno all'altro.
Per ora sembra che mi sia salvato, credo perché non abbia più fatto uso dei miei doni, ma chissà se QUANDO succederà ci sarà qualcuno pronto a stordirmi con un taser, sono pressoché certo che si verificherà un evento simile, lo percepisco dentro di me; noi umani abbiamo un innato istinto di sopravvivenza, i libri che ne parlano hanno pienamente ragione.

Godetevi la vostra esistenza, aiutate il prossimo, ma ... con discrezione, non tutti ci accoglierebbero nelle loro case se sapessero ciò di cui siamo capaci.

mercoledì 26 marzo 2014

La Luce dei Defunti

Sono molto più emozionato, che spaventato. Ho passato gli ultimi giorni a sperimentare i miei poteri, e oggi sto provando qualcosa di completamente nuovo. Sembra che sia diventato una sorta di trasmettitore per le anime dei morti.

Computer e webcam accesi, riprendo ogni cosa, in una sorta di folle diario, senza sapere se avrò mai voglia di mostrarlo a qualcuno. Prima inizio con i qualcosa di facile, nonni, zii... Niente. Poi un amico, morto a causa di un incidente d'auto, qualche anno prima. Appare di fronte a me, guardandomi con aria di rimprovero. Chi viene da me sembra voglia farlo per un motivo.

Mi concentro su una porta che si apre, come il nome che mi sono scelto, e aspetto. Di lì a breve vedo un volto, un bambino. Avrà circa sette anni, i capelli neri, lo sguardo spaventato. Le mani gli tremano. Gli dico di non andarsene, di avvicinarsi e dirmi cosa vuole. Apro gli occhi e sono di nuovo nella stanza, con la luce azzurrina del portatile che illumina entrambi. Tendo la mano verso quell'anima e al momento del contatto vedo una grande casa. Sono ai piedi delle scale e osservo un uomo scenderle con passo lento e soddisfatto. La mano destra è sporca di sangue, sulle nocche, ma lui non sembra preoccuparsene. Non mi vede, anzi, mi passa attraverso, come se il fantasma fossi io. Il bambino è accanto a me, adesso sento chiaramente la sua voce nella mia testa: “Lo fa da sempre...”. “Cosa?”, chiedo, ma so che è una domanda retorica. “Quello che pensi. Va avanti da quando avevo 4 anni. Non riuscivo a credere che mio padre potesse fare una cosa del genere... I padri dovrebbero voler bene ai figli, non è vero?”. La domanda resta sospesa nell'aria, e io non so cosa rispondere. Qualunque cosa sarebbe sciocca a dirsi. “Dov'è tua madre”, invece gli chiedo. “Lei non c'è mai, quando succede. Ho provato a dirglielo, ma lei mi ha detto di smetterla di dire bugie, che le ferite sul viso, sulla schiena, sulle gambe, me le procuro da solo. Perchè sono geloso che lei abbia trovato un uomo così disponibile ad occuparsi di una ragazza madre, senza chiedere niente in cambio. Cerco di metterla contro di lui, perchè sono egoista... Mi urla contro ed io piango”. “Cosa vuoi da me?”, gli chiedo. “Voglio darti qualcosa... Questo”, e apre la mano. Vedo una luce brillare come il sole, e ripenso ad un vecchio libro, letto parecchi anni prima. “La luce dei defunti”, diceva l'autore. Ma a me sembra qualcosa di differente, è ipnotica, possiede una energia che non riesco a spiegare. E' il suo dono, mi dice quasi implorante. Fatico a tenerla, mi fa paura, eppure non riesco a fare a meno di sentire il suo canto. “Sembra la voce di Dio”, dico con un fil di voce, e la scena cambia quasi subitaneamente. Il mio studio, ancora il mio computer con la telecamera che riprende, mentre adesso quella luce irradia tutto il mio corpo e sembra urlarmi tutto il dolore che quell'anima ha provato in quegli anni, le ossa spezzate, le labbra livide... Nessuno che lo abbia mai ascoltato, nessuno che ne abbia avuto pietà.

Non riesco a fare a meno di piangere, e fra le lacrime, l'occhio cade su un articolo di giornale, un trafiletto, una storia, minuscola come il suo protagonista: “Muore cadendo dalle scale. Si chiama Luca il piccolo che inavvertitamente, ieri notte è precipitato dalle scale, mentre scendeva in cucina per bere un bicchiere d'acqua. I genitori lo hanno ritrovato il giorno dopo, con il collo spezzato ed il volto tumefatto. Al momento la polizia ritiene che si tratti di un incidente domestico”.

La polizia ha ragione, bisogna cercare la soluzione più semplice. La legge deve pensare ai vivi, non può risolvere i problemi dei morti. Quello spetta a me. Leggo l'indirizzo, guardo le foto sul giornale. Devo controllare, studierò le mie prede, non lascerò nulla al caso. E fra qualche giorno saprete cosa ho deciso: saprete quanto oltre “La Soglia” sceglierò di spingermi.

martedì 25 marzo 2014

LA PROVA

Quando Puffo e io apriamo la porta del garage, ci travolge una zaffata aspra e marcia.
«Te lo dicevo che non lo uso mai,» si scusa Puffo.
«Dio santo, ci nascondi i cadaveri?» esclamo col naso tappato.
«Scusate, Vostra Altezza!»
Prima di farla pagare a Katia, ho pensato, devo trovare un luogo dove sperimentare il mio potere, non posso andare da lei rischiando di evocare di nuovo il leone. È vero che mi sta sulle palle, ma da lì a bruciarla viva c’è un bel salto. Così Puffo mi ha detto di quel garage sempre vuoto – lui la macchina non ce l’ha, la proprietaria di casa abita sui colli e non andrà certo a riporre l'auto lì.
«Pensavo,» continua Puffo, «che potremmo comprare degli estintori, ne ho visti alcuni piccoli da quindici euro!»
«Grazie che mi aiuti così, sei proprio un amico!»
«Beh, alla fine, finché non bruci tutto, è divertente,» ridacchia, «potrei diventare il tuo Archimede!»
«Chi?»
«Archimede Pitagorico, l’aiutante di Paperinik!»
Inarco un sopracciglio scettico. «Allora vedi di inventarmi qualche super-arma!»
«Un costume va bene lo stesso?»
Con un sorriso, lascio cadere la conversazione: malgrado la mia ostentata positività, sono profondamente angosciato.
In negozio, Katia mi pressa da morire, confabula continuamente con la store-manager: in qualche modo il suo istinto sa che l'incendio è stata colpa mia.
A casa, invece, A. sta fiutando l’aria di mistero e omissione che mi circonda giorno dopo giorno. «Dove sei stato oggi?» e io lì a inventare scuse. Ma come faccio a dirglielo? Se avesse paura di me? Chi vorrebbe mai stare con uno così, uno che non so nemmeno come definire (un super-eroe – certo, come no –, un mostro, uno scherzo della natura)?

Diversi giorni dopo, il garage è pronto, pulito e coi suoi dieci estintori rossi.
Al di là della questione del controllo, che devo assolutamente risolvere, c’è un altro aspetto che mi stuzzica: quante creature posso evocare? All'inizio pensavo fosse solo il lupo, poi è arrivato anche il leone. Quante saranno in tutto?
Ho portato con me delle immagini, visto che la prima volta il lupo è apparso in seguito a un input visivo. Le foto sono di creature mitologiche assortite e sì, lo ammetto, ce n'è qualcuna di Final Fantasy. Oh, metti che riesco a evocare Bahamut o Anima …!
«Ok,» esordisce Puffo, «vogliamo cominciare? Se finirò arso vivo, mi avrai sulla coscienza.»
«Ci ho già pensato, evocherò questo!» e gli mostro l'immagine di un piccolo coniglietto blu che tutto sembra tranne pericoloso. Mi concentro, cercando di richiamare al mio fianco quella presenza paffuta e zuccherosa.
Cinque minuti dopo sono ancora lì, in piedi, col foglio davanti alla faccia, lo sguardo contratto come se stessi al cesso. Del coniglietto neppure la minima traccia.
«Merda!» lancio via i fogli; le figure volteggiano per la stanza – unicorni, chimere e spettri neri. «Questo cazzo di potere fa come gli pare! Come faccio, se non riesco a controllarlo?»
«Dai, è solo la prima prova!» cerca di tranquillizzarmi Puffo.
«No, è inutile,» continuo a gridare, «vanno e vengono come vogliono, non ho nessun controllo, non ce l'avrò mai! Sono una cazzo di bomba a orologeria!!!»
Con le dita tra i capelli, scoppio in un pianto isterico. Prima o poi metterò in pericolo anche A., basterà un litigio e poi …! Devo lasciarlo, tenerlo lontano da me, tutti dovranno stare lontani da me!
Travolto dall'angoscia, quasi non sento la voce di Puffo che mi chiama. Mi guarda e indica qualcosa alle mie spalle.
Quando mi volto, non ci sono coniglietti né lupi o leoni di fuoco. Dietro di me fluttua alto e nero uno spettro, il volto nascosto dal cappuccio e le lunghe braccia grigie e scheletriche. Un misto tra un Nazgûl e un Dissennatore.
Lo spettro mi fissa dal buio del suo cappuccio e io lo fisso a mia volta. La riconosco subito, la zona più oscura e nascosta dell'animo, quella che tormenta fino alla disperazione, fino a spegnere persino la luce del sole.
La riconosco subito, l'ho già combattuta altre volte. E so che posso domarla.

 Che cominci l'allenamento.

lunedì 24 marzo 2014

Arrivederci e grazie per tutto

A quanto pare la mia avventura con voi si chiude con questo post. Non posso raccontarvi quello che è successo: è già tanto che mi abbiano lasciato scrivere un post di saluti. Ci tenevo a ringraziarvi per il sostegno. È stato grazie a voi se sono riuscito a cavarmela in questi pochi mesi ed è stato grazie a questo blog se mi hanno trovato e offerto il mio nuovo lavoro.

Ok, ho detto già troppo.

Però che le mie strane tracce verranno cancellate lo posso dire. In questo modo metteranno al sicuro la mia famiglia (o saranno gli unici che potranno usarla per ricattarmi). Devo trasferirmi, altrimenti altri potrebbero trovarmi. Mi dispiace lasciare la mia casa, la mia famiglia, i miei amici, ma devo ammettere che una scelta obbligata è più facile da prendere.
Però lasciare casa mi fa male. È come se dovessi dire addio a una parte di me.
Quanto sto diventando sentimentale e mieloso. No, basta così! Ciao casa, grazie per avermi accolto, ma devo andarmene. Punto. Finito.

Mi chiedo chi troverò e se troverò qualcuno di voi a farmi compagnia in questa nuova avventura. In fondo sarebbe un po’ presuntuoso pensare che, di tutti i poteri che si sono manifestati qui dentro, questi hanno bisogno solo del mio. Potere che, tra l’altro, è rimasto influenzato dall’incidente dell’ospedale: ora posso annullarlo semplicemente pensando a lui. Ora è quasi più difficile il contrario: non è facile non pensare a qualcosa e, se penso al mio potere, questo si annulla e torno grande. Però mi sto esercitando e ne ho quasi il controllo totale.

Ok, ci sarebbe un mucchio di cose che vorrei ancora raccontarvi, ma è scaduto il tempo. Chiudo la valigia e parto. Chissa se mi lasceranno leggere ancora il vostro blog.

Spero di cuore che anche voi abbiate fortuna.

Max.

venerdì 21 marzo 2014

LUCI LONTANE



È tempo di partire…

Il molo è una lingua di cemento che si allunga dritta sul mare, le pietre ammassate ai fianchi per frangere l’onda sembrano praline di gigantesche nocciole.
Guardiamo le luci delle navi al largo e il mare che imbrunisce di pari passo con il cielo. A sinistra sfocia il fiume; quel particolare dà il nome all’intero tratto di spiaggia e io so che a mettersi lì con la canna da pesca, proprio sotto il cartello di divieto, si prendono delle belle orate. Più in là lo sfavillio dei lampioni al porto segna il confine per una primavera lontana dal punto in cui sediamo.
«Giocavamo a pallone su quella spiaggia, insieme. Un pallone di gomma che se lo portava via il vento prima ancora di calciarlo, e quando riuscivi finalmente a tirare non potevi mai sapere che direzione prendeva.»
Jessica si volta a guardare e il vento le sospinge i capelli sugli occhi. «Un gabbiano!» Dice, riportando lo sguardo su di me.
Io sorrido appena: «E come lo acchiappo un gabbiano!»
«Allora una formica, una mosca, qualcosa, qualsiasi cosa!» La sua voce si alza a ogni parola, ma non va molto più in là perché il vento carico di salsedine le respinge indietro. Alle nostre spalle c’è un vecchio faretto che non funziona, un misero cilindretto tutto ruggine di nemmeno tre metri d’altezza.
Rientriamo passeggiando, io le tendo la mano, ma lei si caccia le sue nelle tasche del giubbotto. A ogni passo noto le chiazze sul cemento lasciate dai calamari pescati la notte: si usano delle luci per ingannarli e farli venire a galla.

«Sei sicuro? Non mi dici bugie?»
«Potrei mentire su una cosa del genere?» Quelle parole mi vengono fuori quando siamo seduti in macchina di fianco al cimitero, il tergicristallo scaccia la pioggia dal parabrezza come impazzito. Sono poche parole, ma sono le più efficaci, se non per convincerla del tutto almeno per assecondarmi.
«Non posso mostrartelo: se resuscito qualcosa, poi devo attendere del tempo affinché il potere si ricarichi.»
Non dice niente. Apre la portiera ed esce fuori in mezzo alla pioggia. Io spengo il motore, recupero gli attrezzi dal cofano e le porgo l’ombrello, ma le sue mani rimangono dentro le tasche.
C’inoltriamo in un boschetto d’eucalipto che fiancheggia il cimitero, un groviglio di alte fronde che stormiscono nel buio mentre il vento muggisce in mezzo ai tronchi. Il terreno fangoso e ricoperto d’erbetta fradicia, s’alza e s’abbassa come un’onda che si abbatte sul muro di recinzione facendo in modo che si possa scavalcare agevolmente. Quando siamo dentro le nostre torce fendono gli spazi tra le tombe, il marmo lucido di pioggia amplifica la luce spedendola in ogni direzione.
“Sento” i visi nelle foto, percepisco i loro occhi mentre rivoli d’acqua colano sui vetri dietro i quali si nascondono. C’è la foto di una bambina e io non posso fare a meno di fermarmi a guardarla: si chiamava Grazia, nel suo mezzobusto indossa il grembiulino rosa della scuola con un gigantesco fiocco giallo sotto il mento.
«Non puoi riportarli tutti indietro.» Mi sussurra Jessica, mentre io sto fermo a fissare la tomba e su di noi piovono scudisciate d’acqua. Afferra la mia mano e mi conduce sul vialetto di ghiaia che porta alla zona degli alti muri con i loculi impilati uno sull’altro.

La polvere di marmo si è impastata con l’acqua sulle mie braccia, le urla roche sono state annegate dalla pioggia che mi precipita in gola mentre rivolgo il viso al cielo tra il balenio dei lampi. Jessica piange, ma nella furia dell’acquazzone non riesco a scorgere le sue lacrime, le labbra le tremano incontrollate e stanno diventando viola.
«Torna in macchina!» Le grido lanciando le chiavi e cercando di soverchiare il fracasso del temporale «torna in macchina!»
Ha un attimo di esitazione poi scappa a correre nella direzione opposta e l’ultima cosa che vedo è il cappuccio del suo giubbotto che balla sulle spalle.

È tempo di partire. Eccomi DEM: sto arrivando.

giovedì 20 marzo 2014

Gli errori si pagano

Gli errori si pagano. L’ho capito ieri sera. Sono stato troppo superficiale, arrogante, e solo perché avevo un superpotere.
La verità è che sono un coglione, e qualcuno rischia di morire per questo.
Ricapitolando, nel post precedente avevo detto di essermi liberato per sempre dell’organizzazione criminale che mi pedinava.
Ieri sera ho scoperto che mi sbagliavo: torno da una cena a casa di amici, chiudo la macchina, e all’improvviso vedo le stelle e poi l’oscurità assoluta.
Rinvengo in un capannone vuoto, illuminato da tre riflettori fotoelettrici puntati su di me. Ho un dolore pulsante alla testa e sono seduto su di una scomoda seggiola di plastica con le mani legate dietro la schiena. Attorno ho una dozzina di brutti ceffi. «Buonasera signor XXXXXXXXX.» dice il tizio che ho di fronte a me.
«Ci conosciamo, per caso?» gli chiedo, cercando di sembrare spavaldo.
«É riuscito a mandare a puttane un carico di sei milioni di euro, il mese scorso.» risponde il tizio.
«Mi scusi, deve avermi scambiato con qualcun altro.»
«No.» risponde questi, con il mio cellulare stretto in mano «Ti hanno visto parlare con i nostri uomini prima che la dogana sequestrasse tutta la droga. Abbiamo controllato: non sei uno sbirro, eppure sei riuscito a infiltrarti nella nostra organizzazione. Ora tu ci dirai per chi lavori e come hai fatto.»
Sudo freddo. Non potevo dire la verità, primo perché non mi avrebbero creduto, secondo perché – ipotesi peggiore – avrebbero potuto credermi, e allora vi avrei condannati tutti, Sybil, Max Steel, Portatore di luce, Lazzaro.
«Sono molto convincente.» rispondo da vero idiota.
Un cazzottone allo sterno. Me lo meritavo: porca miseria, non eravamo in un film, ma che credevo di fare? Il tizio mi afferra la faccia e mi ringhia addosso queste parole: «Con chi credi di parlare, eh? Ti faccio un buco in testa e ci piscio dentro hai capito?» Tira fuori una pistola e me la punta in fronte. «Canta, stronzo, chi cazzo sei?»
«D’accordo» rispondo, mentre la vescica mi si riempie. Chiudo gli occhi, mando il cervello in automatico e lascio libera la mia parte oscura, che il Signore mi perdoni. «Ammazzatevi tra di voi, stronzi.» urla un altro me stesso.
Mi butto a terra con tutta la sedia, mentre sopra di me si scatena la mattanza.
Quando tutto finisce ancora mi fischiano le orecchie. L’odore di polvere da sparo impregna l’aria. Apro un occhio e vedo un cadavere a pochi centimetri dalla mia faccia.
Mi rimetto in piedi e constato il massacro: dodici cadaveri sono sparsi attorno a me. Solo tre erano armati di pistola, gli altri stringevano tra le mani coltelli insanguinati e tirapugni. Un riflettore si è rovesciato senza spegnersi, mentre un altro è stato spento da un proiettile vagante.
Con fatica mi libero, rischiando anche di slogarmi un polso, e mi metto la corda in tasca. Inizio a cercare l’uscita quando un colpo di tosse rischia di farmi venire un infarto.
Nella semioscurità uno dei criminali si muove e farfugliava qualcosa. Non so perché mi avvicino. Appena sono abbastanza vicino rischio un secondo infarto: «Brigadiere…» dice.
Una mano gelata mi passa sulla schiena.
«Cosa?» chiedo con voce strozzata all’uomo a terra, con un bel foro nello stomaco. «Sotto copertura…» risponde.
Ripeto la domanda usando il potere della Voce: «Dimmi la verità: sei veramente un carabiniere in missione?»
«Sì.» risponde lui tossendo sangue.
Mi metto le mani tra i capelli. Oddio, che avevo fatto?
Dovevo salvarlo, a ogni costo. Mi riprendo il cellulare, inizio a comporre il numero del  118 ma mi fermo. Prendo un fazzoletto di carta, afferro un cellulare da un cadavere e chiamo i soccorsi con quello, camuffando la voce. Poi scappo di corsa. Non ho mai smesso di piangere nel frattempo.
Stamattina i giornali parlano di un regolamento di conti. Non si fa cenno al carabiniere. Se fosse morto i giornali lo avrebbero riportato subito, quindi è ancora vivo.
Devo salvarlo, ma è un compito che travalica i miei poteri. Ho bisogno di aiuto.

Lazzaro, ti prego, ho bisogno di te, contattami.

mercoledì 19 marzo 2014

Un tuffo nella realtà

Mi sono alzata abbastanza presto ben decisa a darmi da fare.
Essendo il mio giorno libero avevo tutto il tempo per mettere alla prova il potere nella vita reale.
Doccia, capelli, scelgo con cura dei vestiti comodi. Mi guardo allo specchio e penso che sono una vera deficiente: perché mettersi in tiro se stai per diventare invisibile?
Va beh… mi giustifico mentalmente pensando che una donna ha diritto ad un bel paio di scarpe anche di fronte alla morte, figuriamoci per un'uscita extrasensoriale.
Decido di andare in tv, almeno sono sicura che là avrò sufficienti stimoli per mantenere l'ansia ad un buon livello. Parcheggio ad un isolato di distanza perché non voglio che i miei colleghi notino la targa. Un margine di sicurezza vale un chilometro a piedi, anche se con questo freddo non cammino molto volentieri.
Prima di scendere dalla macchina ripercorro mentalmente tutti gli stati d'angoscia provati di fronte allo specchio per diventare invisibile: funziona, non proietto alcuna ombra. Accelero l'andatura, voglio arrivare subito in tv.
Con un po' di fortuna avrei beccato la riunione di redazione ancora in corso.
La porta è socchiusa, come sempre, scivolo dentro senza che nessuno se ne accorga.
Cammino in punta di piedi e trattengo il fiato, per non fare rumore, quindi entro in redazione. Sono tutti attorno al tavolo ovale e discutono con trasporto i servizi del giorno.
Il capo è arrabbiato, evidentemente i giornali avevano più notizie di noi.
Mi appoggio alla parete, attenta a controllare il respiro, mentre lui grida: “…e poi per colpa di quella cretina di ***** non abbiamo detto che c'è un nuovo indagato nell'indagine dei carabinieri sul fatto di due settimane fa, porca puttana…” Tutti annuiscono e ribadiscono con la faccia disgustata che ***** è proprio una superficiale, che non sa fare il suo lavoro. Il sangue mi va alla testa, perché ****** sono io. Mi danno la colpa solo perché sono assente e non posso difendermi, è il trucco più vecchio del mondo, e nessuno muove un dito in mio favore.
E bravi i miei ragazzi di provincia, quelli che mi erano sembrati tanto carini e collaborativi. Sto per vomitare dalla rabbia, mi controllo con grossa difficoltà.
Temo che questo possa destabilizzare improvvisamente il mio stato. Devo correre fuori a prendere un po' d'aria, e devo farlo subito. Giusto il tempo di varcare il portone e torno in me, completamente visibile.
Nel cortile, per fortuna, non c'è nessuno. Mi accorgo di avere le mani sudate e lo stomaco in subbuglio: alla rabbia non avevo pensato, è una variabile da gestire, se intendo andare in giro ad origliare il prossimo.
Adesso devo decidere come muovermi. Se torno in redazione picchio qualcuno, ma come posso giustificare di sapere tutto? Quindi è meglio che torni verso la macchina. Mentre cammino a passo svelto concludo mentalmente che il potere funziona, avrò tempo e modo di decidere come procedere con chi mi pugnala alle spalle.

Questi campagnoli senza futuro ingoieranno ogni singola offesa, e non sapranno mai da dove è arrivato il colpo

martedì 18 marzo 2014

Strane Tracce

Rientrando a casa sono passato davanti a quella panetteria e mi son chiesto se ci fosse ancora un segno del mio passaggio. Certo che ne abbiamo lasciate di tracce, non solo su questo blog, ma sugli articoli dei giornali. Non ci credete? Prendete uno dei nostri post e cercate tra le news di quella settimana. Se ho trovato qualcosa io che sono negato con i computer, troverete sicuramente qualcosa anche voi.
Quanto può essere facile per qualcuno che ha più di una semplice connessione a internet seguire le infinite strane briciole che ci stiamo lasciando dietro?

Continuo a chiedermelo da quando, due giorni dopo il mio ultimo post, sono venuti in ospedale due uomini. Non c’era niente di strano, non li avrei notati se non mi stessi annoiando come non mai e questi non si fossero fermati a parlare davanti alla mia camera lanciando spesso occhiate dentro. Sulle prime ho pensato che fossero lì per me - le parole di DEM ancora ronzano nella mia testa - ma io non ho pestato i piedi a nessuno. Magari non stavano cercando me. Ho avvertito Portatore di Luce di non farsi vedere, in fondo è l’unico che conosco e i suoi poteri sono ben più evidenti del mio.

Sta di fatto che ancora mi seguono. Sanno dove abito, hanno fatto amicizia con quella chiacchierona della mia vicina di casa e mi chiedo cosa abbia raccontato loro. Se fossimo in uno di quei fumetti che seguivo da piccolo, li avrei affrontati di petto, invece non ho saputo fare altro che continuare la mia vita nella speranza che si stanchino di seguirmi. Sarebbe stato più facile se il sangue di Portatore di Luce mi avesse definitivamente guarito dallo strano segno, invece sono tornato ad essere alto i miei soliti trenta centimetri l’altro giorno. È durato pochi istanti, ma sono sicuro che quei due mi abbiano visto. Da allora sono tornato a chiudermi in casa: torno formato bambolotto sempre più spesso, ma non posso più tornare normale contraendo gli addominali. A quanto pare il mio calvario sta ricomiciando. Spero che l’effetto del sangue di Portatore di Luce sparisca definitivamente, così posso almeno ricominciare a uscire senza paura.

Vi tengo aggiornati.

Max.

venerdì 14 marzo 2014

PUNTI FISSI



A sognare qualcuno morire gli si allunga la vita…

Tutto è relativo.
Il moto lo è. Relativo intendo: ci vuole un sistema di riferimento affinché qualcosa possa dirsi in movimento. Prendete la sensazione d’incertezza che si prova stando seduti su un treno e guardando di fuori un altro treno affianco; a un certo punto vedete i finestrini dell’altro vagone scivolare via e iniziate a chiedervi chi è che si muove; è una sensazione straniante, come ritrovarsi sospesi dentro il mondo seduti su una bolla. Eppure basta voltarsi dall’altra parte e osservare il panorama di fuori per avere una risposta immediata su chi si muove effettivamente.
Ma se dall’altra parte ci fosse un altro treno a occupare la visuale cosa succederebbe?
Il tempo lo è. Quando ci si diverte un’ora scappa via in un minuto e alla fine ti rimane il godimento smorzato simile a un’eiaculazione frettolosa; se invece stai male non ti resta che stringere i denti e strizzare gli occhi sotto una pioggia battente di sudore, sperando di scorgere la fine tra le pieghe disorientanti del percorso.
E così io tengo duro e vado avanti, mentre pesto le dita sulla tastiera e i miei occhi scorrono le vostre parole. Ti ringrazio Portatore di Luce per la tua comprensione e spero che con Max vada tutto per il meglio. Certo, annientare il mio potere con te vicino potrebbe essere… non lo so: bello? Liberatorio? Traumatico? Probabilmente tremendo, anche se per un giorno soltanto.
Io credo che questo mio dono derivi da un sogno lontano che ricorreva quando ero piccolo; così reale e ossessivo che alla fine si è mescolato con il desiderio e si è incastrato con la realtà. Il fatto è che io questo potere lo voglio, l’ho desiderato lungamente, MI SERVE.
Ho un fratello. È morto.
Il fatto che sia… fosse mio fratello maggiore è più che mai relativo. Lo è stato certo, fino a quando io avevo dieci anni; nei tre anni successivi la distanza tra me e lui si è accorciata. La sua morte è stata il punto fisso: il sistema di riferimento per il moto della mia vita. L’ho raggiunto e superato e il tempo per lui adesso come si misura? La sua data di nascita? Quella di morte? Da dove si parte, dove finisce? A pensarci mi sento come costretto nello spazio angusto di un vagone affiancato da due treni: mi manca l’aria, non so da che parte voltarmi per ripartire.
Devo trovare dei punti fissi. Uno è sicuramente dato dalle vostre storie che leggo su queste pagine, l’altro può essere la mia famiglia, ma parlare ai miei genitori del loro figlio morto non li rende obiettivi o maggiormente disposti a credere al mio assurdo potere. Ci vuole qualcuno che sia in un certo senso estraneo a mio fratello, ma tremendamente vicino a me: questa cosa non posso farla da solo!
«Ce la fai a venire a casa domani?»
«Ma non devi lavorare?»
«No, domani no. Dai, stiamo un po’ insieme. Andiamo al mare.»
«Sicuro? Magari preferisci riposarti invece che avermi in mezzo.»
«Preferisco parlare: non l’ho fatto molto no?»
«Non l’hai fatto per niente!»
Jessica! È lei la persona ideale. Non ha conosciuto mio fratello, ma condivide sempre, sempre, la follia delle mie azioni.
“Andiamo al mare. Parliamo un po’. Andiamo a tirar fuori una bara da una tomba di marmo.”
Ho provato a spiegarle questa follia prima di metterla in pratica insieme, ma la già labile impalcatura è crollata quando le mie parole non hanno trovato riscontro, quando afferrando fredde ossa che si sbriciolavano sotto la pioggia battente, quando urlando, strepitando, non c’è stato nulla a dimostrare ai suoi occhi terrorizzati che io fossi in grado di resuscitare i morti.

 A sognare qualcuno morire gli si allunga la vita: vivere desiderando la vita si va incontro alla morte.

mercoledì 12 marzo 2014

V for Vendetta

Ho fatto una lista di tutte le persone che nel corso degli anni mi hanno fatto così incazzare che ancora sogno di ammazzarle. Posso perdere le chiavi quattro volte al giorno, entrare in una stanza e non ricordarmi perché, ma se mi hai fatto salire la carogna non lo dimenticherò mai. Una volta mi sarei limitata ad attendere con pazienza l'occasione di vendicarmi, ma ora non devo più aspettare.
Punto primo sulla lista: la moglie del mio vicino.
Sono entrata a casa loro in pieno giorno, scegliendo di proposito lo specchio nell'ingresso, una stanza buia e senza finestre. Da lì sono andata in camera da letto e ho tirato le tende gattonando sul pavimento, giusto per essere sicura che nessuno mi vedesse da fuori. Poi ho aperto l'armadio di tek intarsiato finto cinese su cui sbavo da anni, anche se io in realtà vorrei un modello originale e non un'imitazione da maison du monde.
Via le scarpe di coccodrillo e gli stivali di camoscio, le cinture di serpente, la pelliccia di cincillà e quella di ermellino: sparito tutto quello per la cui produzione un povero animale ha dato la vita. Praticamente ho eliminato l'intero guardaroba, ma non posso dire di esserne dispiaciuta: per quanto mi riguarda l'iper-stronza può andarsene in giro nuda.
Una volta che sono tornati è scoppiata la tragedia. Urla e strepiti da parte di lei, scarsi e perplessi tentativi di consolazione da parte di lui. A sentirla sembrava le fosse morto un figlio, non che le avessero rubato gli scamiciati di seta.
La denuncia è stata fatta, ma senza impronte né segni di effrazione la polizia ha poco con cui andare avanti, e la “merce rubata” non salterà mai fuori da nessuna parte, perché l'ho seppellita nel bosco: quelle povere bestiole possono finalmente riposare in pace.
Il secondo punto sulla mia lista da vendicatrice ha coinvolto una mia ex-collega, la cara Giustina con le sue convinzioni omofobe, i cui discorsi bigotti mi sono dovuta ciucciare per un lungo, estenuante anno.
Ho aspettato dietro lo specchio del bagno che si decidesse ad uscire. L'ho guardata pettinarsi, schiacciarsi un brufolo e poi nasconderlo con il fondotinta, lavarsi i denti e alla fine, deo gratias, levarsi dal cazzo. E da lì è iniziato il divertimento.
Incredibile quanti danni si possano fare con un martello avvolto nella lana. Ho rotto ogni lampadina presente in casa sua ed eliminato pezzi vitali da lavatrice, frigo e televisione al plasma. Le ho intasato il cesso di scottex, fatto a pezzi le lenzuola, versato la candeggina sul divano.
Mi sono, lo ammetto, divertita troppo: è rientrata mentre stavo svitando i manici delle pentole. Lì per lì mi è venuto un infarto, ma poi mi sono nascosta dietro la porta della cucina e sbam! Una padellata sul cranio, non troppo forte da ucciderla (peccato) ma abbastanza da farla collassare.
Quante risate, ragazzi miei. Quante. Grasse. Risate.
Non ho intenzione di fermarmi. Troppa merda là fuori: è ora che qualcuno inizi a spalare.

lunedì 10 marzo 2014

Un appello

Sono ormai due settimane che la mia palpebra non vibra più.
Non mi è più capitato di vedere, incontrare, o anche solo percepire un altro di noi.
In teoria non sarebbe tanto strano perché altrimenti vorrebbe dire che il Mondo è pieno di gente coi super poteri, ma allora ... perché lo sembra?
Era come se mi fossi abituato all'idea di essere circondato da persone simili a me, mi pareva bizzarro l'essermi integrato.
L'essere stato sempre un emarginato mi aveva fatto immaginare che esistesse una comunità apposta per quelli come me, ed ora che credevo di averla trovata ecco che il sogno va in fumo, neanche l'ombra di un super nelle vicinanze! (Direi che "super" ci descrive goffamente, ma un altro termine più appropriato non l'ho trovato nel dizionario, che dite, dovremmo inventarlo?).
Certo ci siete sempre voi, miei indiretti compagni di ventura, che, a leggere i vostri post sul presente blog, sembrate tutt'altro che dei derelitti della società, anzi, apparite come luci splendenti in questo triste e nero Mondo.
Aldilà di qualche bipolare schizofrenico direi che ci stiamo tutti dando un gran da fare per migliorare le condizioni delle nostre rispettive città, anche se il mio aiuto consiste solo nell'essere un normale e onesto cittadino.
Ovvio che sarebbe magnifico combattere il crimine manco fossi il cavaliere della notte, ma purtroppo il mio potere non me lo consente perché funziona ad area, immaginatevi se all'improvviso annullassi il funzionamento delle armi da fuoco, mi ritroverei in una situazione dove sia io che i presunti criminali dovremmo fare a cazzotti, con uno o due potrei pure cavarmela, ma mica sono Chuck Norris! E se tirassero fuori un coltello? Come annullo il funzionamento di quello? Poniamo il caso che non sia a serramanico mi troverei a dovermi attaccare al MIO di manico! Capite perché vorrei avere un "super" vicino?
La gestione della popolazione a delinquere la lascio agli organi di "competenza" e ci tengo a far notare le virgolette che ho messo ed immagino voi tutti concordiate con me sul perché, non c'è neanche da spiegarlo.
Dato che la vita non è un film non ho nemmeno il super cattivo da affrontare, nessun pazzoide che vuole conquistare il Mondo o robe simili e onestamente spero sia lo stesso per voi anche perché io, sinceramente, non saprei come prendere la cosa.
Cioè, sì, se avesse un potere assurdo potrei arrivare a debita distanza e annullarglielo, ma a parte questo rimarrei nascosto a fare il palo; a poco servirei, no? Per questo, nel caso di necessità, avrei bisogno di qualcuno di voi.
Adesso siamo tutti nello stesso club, non ci sono emarginati tra di noi, siamo solo differenti dalla gente "comune" che ci ha generato e alla quale dobbiamo una casa e un tetto sopra la testa, per cui non sentitevi esclusi da qualcuno o qualcosa.
Tra di noi, perlomeno a casa mia, ci sarà sempre posto per uno della comunità; prego affinché questa linea di pensiero venga abbracciata dalla maggior parte dei presenti nel forum.
Ho anche fatto delle prove per vedere se posso sbloccare ciò che ho annullato, cioè se posso ripristinare il funzionamento di ciò che volevo far smettere di funzionare e ... indovinate un po'? Non ci sono MINIMAMENTE riuscito, a quanto pare ho un'abilità a senso unico, frustrante, vero?
"Sì, lo è" è la risposta esatta.
Non ho ancora notizia di nessuno di quei poveracci a cui ho fatto perdere l'uso della parola l'ultima volta, se l'effetto del mio segno è ancora attivo dovrò trovare qualcuno che sia in grado di aiutarli, alla fine dei conti la possibilità che esista un individuo del genere è almeno un 50%, voglio dire ... se io posso annullare il funzionamento delle cose ... ci sarà pure qualcuno che invece le può far funzionare a suo gradimento, no?
Il punto è ... come lo trovo? Se qualcuno di voi ha tale potere o conosce chi lo detiene, vi prego, contattatemi, anche in privato.
La voce di quelle persone e anche la mia coscienza dipende da questo, comprendetemi.

venerdì 7 marzo 2014

LA MIA FAMIGLIA



Ho quattro sorelle…

Sorella menzogna:
Quando i miei genitori sono rientrati l’hanno chiamato. Non c’è stata risposta, solo il vago aroma di limone e menta che aleggiava nell’aria e una macchia d’umido a scurire il cemento. «È uscito… come ho aperto il portone è scappato via: avrà sentito l’odore di un altro cane. Quando si stanca torna… è uscito.»
Io non ho pranzato e il cane non è tornato.
Mi sono chiuso in camera, seduto sul bordo del letto a guardare tra i miei piedi il pezzo di busta nera che sporgeva da sotto. Solo la luce sullo schermo del telefono mi teneva compagnia, ma era una luce insolitamente priva di parole. In tarda serata mia madre ha bussato alla porta di camera: «Non è ancora rientrato!» La voce che si spezza sul legno.
«Lo so!» Ho risposto, ma era solo un bisbiglio per me stesso fra i tremiti di freddo e terrore che mi percuotevano come corrente viva. Ero disteso a terra, con il petto nudo sulle pianelle gelate; una mano sporta sotto il letto come a richiamarlo da quel buio spazio sotto la branda che somigliava all’aldilà.

Sorella silenzio:
Di notte la luce della cucina filtrava tra gli spazi sotto la porta e il giornale premuto contro, m’investiva il petto mentre in silenzio ascoltavo il rintocco spaiato delle posate sui piatti: niente chiacchiericcio di televisione, nessun commento alla giornata di scarse vendite in negozio. Ho trattenuto il respiro innumerevoli volte per percepire anche solo un bisbiglio, ma poi la luce si è spenta e ho sentito solo qualche singhiozzo e nient’altro oltre il muro di camera.
Vinto dalla stanchezza sono caduto nell’incoscienza, alternando a infiniti momenti di veglia sparuti sprazzi di sonno. Ogni volta che mi destavo mi accoglieva il silenzio assoluto e l’immagine del cane steso su un fianco oppure il raspare delle sue unghie sul portone di casa. Tuttavia le uniche cose reali erano le pianelle fredde contro la schiena e il formicolio della mano artigliata sulla plastica nera.

Sorella amore e sorella riscatto:
Sono convinto che sia ormai mezzanotte passata mentre ascolto lo stravento che abbatte sulle persiane ondate di pioggia. Cerco il telefono; nell’agitazione del non-sonno deve essere scivolato da qualche parte e proprio mentre tasto intorno per recuperarlo lo schermo s’illumina vibrando per un momento: «Buonanotte. Ti amo!» Leggo nel messaggio.
Lotto per tenerle a bada, ma così come l’acqua si spande sul davanzale, le lacrime fanno altrettanto sul mio viso. «Ti amo!» Sussurro allo schermo che si spegne pian piano precipitando nuovamente la stanza nel freddo buio di tomba.
Lo sento. Avviene. Questa volta non è un passaggio, ma una risalita; è come sfidare a nuoto i marosi con l’acqua che risucchia le tue energie a ogni bracciata e il sale che ti brucia gli occhi. La busta sussulta sotto il letto sbattendo sulle molle della branda: un colpo secco e basta, per un attimo dubito di essere realmente sveglio. Ancora quella risalita che sembra strapparmi il braccio, sento che assorbe le mie energie e insieme la mia stessa vita; il segno sul braccio divampa stagliandosi sul soffitto come una costellazione di fiamme. Poi è ancora buio e la busta ha un nuovo sussulto. Un guaito, un altro sussulto contro la branda e lo stropiccio violento della plastica. «Cazzo! Cazzo!» Serro i denti e mi precipito in ginocchio. La busta è impazzita, si dibatte in ogni direzione e sembra voglia scappare. Ancora un guaito, fortunatamente è troppo tenue per essere udito nell’altra stanza. Lo trascino fuori da là sotto, squarcio la busta e il cane mi salta addosso leccandomi il viso e annusandomi come un pazzo mentre spazza l’aria con la coda. Il suo corpo è caldo, posso sentire il cuore sotto il pelo pulsare vita nelle vene a ogni battito.

I miei genitori sono ripartiti in negozio alle sette del mattino. Non c’è miglior palliativo al dolore del lavoro: io invece ci avevo rinunciato, ed è stato un bene, ora dovevo vivere intensamente fino in fondo.

Ho quattro sorelle… e un fratello.

giovedì 6 marzo 2014

Scuse e spiegazioni

Chiedo scusa a tutti per il post di ieri sera.
Stavo per cancellarlo o chiedere alla nostra admin di farlo. Ma credo debba rimanere li dove sta. Non perché voglio offendervi ma come monito:
Siamo vulnerabili.
Per quanto grandi possano essere i nostri poteri ancora non li conosciamo.
Giusto ieri sera ho scoperto il mio ennesimo limite. Rincaso da lavoro come sempre verso le nove. Ceno, bacio della buona notte al bimbo e sul divano davanti alla tv. Giusto per rimanere in tema di stramberie mi guardo Warehouse 13.
Poi un improvviso senso di euforia. Testa leggera, voglia di ridere incontrollata. Freni inibitori sciolti e una gran confusione nel cervello. Non ho mai fumato “roba” e ricordo molto vagamente la mia prima e ultima sbornia. Ma ero “fatto”. E di brutto pure.
Luci, ombre, colori. Fatico ancora a fare la cernita tra quanto realmente accaduto e quanto ho “sognato”.
Ho urlato dal balcone proposte oscene alla barista di fronte? Probabile.
Ho mandato sms spinti a qualche collega? Certo, ahimè.
Ho scritto sul “nostro” blog… palese.
Ho perso il controllo.
E ora devo rifare un portone e la facciata della casa che dà sul giardino.
Ma facciamo ordine tra il caos e il mal di testa che ancora mi spacca il cervello.
«Ma che cazzo combini?» nella nebbia dell’ebbrezza mia moglie mi strattona. Ha letto qualcosa che ho scritto? Impreca.
«Sei stato dai fattoni del piano di sopra? Si sente il “profumo di rosmarino” fin quaggiù!»
Annuso.
I coinquilini del piano di sopra si stanno divertendo un poco… e io ne subisco le conseguenze.
«Ti mollo brutto porco.» Rincara la dose. Mi schiaffeggia. La spintono.
Corro verso la porta che dà sul giardino. Qualche barlume di ragione mi vuole portare “in salvo”. O vuol tenere “al sicuro” la mia famiglia da me.
La porta non si apre. Non trovo la chiave, o non trovo la maniglia.
«Mi serve una fottuta mano!»
E penso al ciliegio in giardino. Gli ordino di aprirmi la porta.
Buio.
Mi risveglio tra brandelli di legno, schegge di vetro, lamiere contorte e intonaco polverizzato.
Capite? Questa specie di simbiosi vegetale mi sta distruggendo.
Già da un paio di settimane non posso indossare nulla che non sia 100% naturale se non voglio rush cutanei o imbottirmi di antistaminici. E ora questo.
Non credo che i ragazzi dell’attico abbiano fatto un festino da sfascio. Qualche cannetta e qualche birretta tra amici al massimo. E io ero fuori come un balcone. Ma questo è il meno.
Ho un figlio, Dio santo!
Se mi prendeva una “sbornia cattiva”? Cosa avrei potuto fargli?
Per fortuna ha il sonno pesante. Non si è accorto di nulla.
E mia moglie? Ha vegliato, chiusa a chiave nella stanza del bimbo con un coltellaccio tra le mani. Grazie al cielo mi ama davvero tanto e non ha chiamato la polizia. Quella santa donna per ora si limita a guardarmi torvo ma si vede che ha paura.
Chi non ne avrebbe?
Le ho mostrato i miei poteri. Come potrei tenerglieli nascosti? Ma le cose non cambiano.
Sono pericoloso.
Devo trasferirmi. Il paese è piccolo, la gente mormora. Per fortuna la zona distrutta non dà sul lato di “Arrigo Sacchi” e la musica dei “fattoni” era alta abbastanza… o almeno spero.
Magari vado a stare in città. Quartiere tranquillo, lontano dal verde.
Magari guarisco.

Un'altra prova vinta

Salve a tutti! In questi giorni sono stato un po’ indaffarato, e non ho potuto partecipare molto. Sono contento nel vedere che la nostra “famiglia” si sia allargata. Più siamo, meglio siamo!
Perdonate questa esplosione di ottimismo, ma sembra che sia riuscito a risolvere il problema che mi angustiava. Se ricordate, nel post precedente avevo scritto del sospetto che mi stessero seguendo, perciò ho deciso di procurarmi più informazioni sui miei pedinatori.
Un giorno, uscendo di casa, individuai un tipo che mi sembrava sospetto e l’attirai in una trappola: mi allontanai a piedi, mi accertai che facesse anche lui la stessa cosa poi, al momento opportuno, mi infilai in un vicolo e aspettai che mi venisse dietro. Lo fece e, prima che potesse reagire, lo attaccai col mio potere: «Chi cazzo sei, e perché mi segui?»
«Mi chiamo XXXXXXX e ho l’ordine di seguirti per scoprire se sei veramente tu quello che da alcune settimane manda a puttane le operazioni dei miei capi.» rispose l’uomo in trance, con un forte accento non delle mie parti.
«E chi sono i tuoi capi?»
«Si chiamano XXXXXXXX, XXXXXX, e XXXXXXXXX.»
«Appartengono a qualche famiglia mafiosa?»
«No,» rispose l’uomo con lo sguardo vitreo «però hanno amicizie potenti e fanno affari con la mafia russa e la ‘ndrangheta.»
«In quanti siete a sorvegliarmi?»
«Cinque.»
Cinque. Era quasi lusinghiero che mi dedicassero tanta attenzione. Lusinghiero e terrificante. Riflettei alcuni istanti «Questa conversazione non è mai avvenuta, chiaro?» gli ordinai. Non se la sarebbe ricordata comunque, ma volevo andare sul sicuro. «Ora girerò l’angolo, e solo allora tornerai come prima. È chiaro?»
«Chiaro.» rispose l’uomo.
Mi allontanai alla svelta. Dopo alcuni minuti lo vidi di nuovo sui miei passi. Mentre facevo alcuni giri a vuoto riflettevo su cosa fare. Non potevo lasciare che continuassero a seguirmi, dovevo togliermeli di dosso, e dovevo farlo in modo da rimanerne il più pulito possibile. Quella sera, a cena, trovai l’idea giusta.
Il giorno dopo individuai un altro di quei pedinatori e tentai lo stesso trucco che avevo usato il giorno prima. Riuscì anche stavolta. Interrogai l’uomo e, alla fine, gli ordinai: «Dì ai tuoi capi che non hai trovato niente su di me. Io non c’entro niente con i vostri problemi.»
«Va bene.» rispose l’uomo, e me ne andai. I giorni successivi feci lo stesso con gli altri – evidentemente si davano il cambio.
In breve, sembra che abbia funzionato. Da qualche giorno non vedo più le solite facce, e non pare che le abbiano sostituite con altre. Sembra proprio che abbia vinto anche questa ennesima sfida, e l’abbia fatto nell’inconfondibile stile “stealth” di D.E.M.!
Penso proprio che stanotte dormirò sonni tranquilli, finalmente.

Alla prossima!

mercoledì 5 marzo 2014

Spakkiamo!

YOoO strAMBOIDIII!!
È un pezzo ke non passo di qua ma vedo ke di gente fuori ne arriva sempre più!
Ragazzi ho idea di farci un botto di soldi con 'sti poteri.
Mettiamo su un bel baraccone. Io mi faccio tirar roba addosso. Frecce, coltelli e mi faccio sparare, tanto rigenero!
WAaa!!!
Il piccoletto gli facciam fare la marionetta magica Ke si muove senza fili.
E poi alta magia!!!
Evochiamo leoni di fuoco, la vecchina fa i cucchiai in bicchieri. I telepati fanno numeri leggendo nella mente meglio del mentalista.
Gran finale!
Ammazziamo qualcuno e Lazzaro lo ressA.
DAiiii facciamo un pacco di soldiii!!!
E se non pagano mandiamo il convincitore e sborsano. O coi poteri devasto ke ne abbiamo a muzzo.
Però prima sopprimiamo Lucifero ke se ci blocca i poteri finisce in merdA TUTTO.
Dai stramboidiii chi ci sta???
Spacchiamooo!
YOoO strAMBOIDIII!!
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lunedì 3 marzo 2014

La Bilancia dell'Ingiustizia

Il puzzo della polvere da sparo ferisce ancora le mie narici, anche se già da un paio di minuti ho lasciato l'ingiusta aula di tribunale, ospite nel dotto angusto palazzo dei senza legge. Il simbolo dietro il collo continua a prudere, ma forse è soltanto una sensazione. Anche se è comparso solo stamane, sembra essere parte di me come una voglia disegnata da un folle pittore il giorno dell'Apocalisse, dopo aver contemplato le fosse ardenti dell'Inferno. Forse i colori sono frutto delle ceneri vive e dei sudori caldi di quelle fornaci, mescolate alle lacrime di sofferenze indicibili.

La città di Messina non è certo Gotham City. Non ha architetture gotiche, nè tecnologia frutto di una sviluppata era industriale. I cittadini vagano come morti viventi, lasciando orme strascicate e pesanti sulla carne marciscente sviluppatasi da quell'irrazionale intrigo di arterie che sono le sue strade, un tempo libere, adesso mostruosamente impedite dal gusto decadente di ladri in giacca e cravatta, vampiri moderni il cui unico fine è assaporarne il vermiglio succo della sua ormai tragica esistenza. Non ci sono eroi, nella mia città. Solo vittime. Almeno fino ad ora.

Ho sempre pensato che fare l'avvocato fosse l'unica risposta all'urlato desiderio di cambiamento, agendo dall'interno, come una singola cellula impazzita che riesce a contaminare l'oscurità che si nasconde dietro norme di convenienza, su cui glissare a proprio piacimento. Accanto a me, c'è il mio cliente, accusato di stupro ed omicidio. Ha l'arroganza di chi sente di essere intoccabile. Nessuna prova contro di lui, un giudice affetto da delirio di onnipotenza, testardo e presuntuoso, desiderio inespresso di qualunque mio collega, nella mia situazione. Sorride, seduto al mio fianco, cercando in me, il suo avvocato difensore, appoggio e comprensione, quasi un Messia crocifisso sull'altare della follia umana. Rabbrividisco, quando la ragazza, la vittima, con il petto squarciato e ancora sanguinante mi tocca la mano, emettendo muti lamenti, senza potersi alzare ed urlare l'odio contro il suo carnefice. Muove le labbra, chiedendo nel silenzio di essere io la sua voce. Sento il simbolo bruciare come un tizzone e nel momento in cui l'uomo mi tocca la spalla, il mio potere agisce da catalizzatore: tutto il dolore passa da quell'anima angosciata attraverso me e raggiunge il suo assassino. Lui si contorce, stringe gli occhi e i denti e si alza di scatto. Ho l'impressione di assistere ad una blasfema trasfigurazione, l'assurda consapevolezza che quell'attimo rappresenta la fine del fogli, oltre cui non potrà mai più scrivere. Non ho neanche il tempo di fermarlo, mentre lui afferra la pistola del carabiniere accanto a lui, la punta alle proprie tempie e preme il grilletto. Poi il sangue, e il silenzio. Suo è stato il dito che ha posto fine alla sua esistenza, ma guardandolo so che il vero responsabile sono io, il mio potere ha fatto giustizia più di qualunque tribunale.

Vedo lo spettro finalmente sereno, sazio di vendetta. Espiro, liberando l'aria da troppo rinchiusa dentro me, e abbandonando, nel contempo, anche le mie folli ed illogiche sovrastrutture: ora so che un uomo può fare la differenza. Giustizia è fatta. Sorrido mentre lascio l'aula insieme al resto del pubblico, accompagnato dai carabinieri, pensando ai poteri che col tempo e l'esperienza cresceranno per forza e controllo. Ho solo socchiuso una porta e chissà quale mondo troverò una volta che l'avrò aperta del tutto. Faccio un passo e mi spingo oltre “La soglia”.