Dopo mesi trascorsi cercando di venire a patti con i propri nuovi, straordinari poteri, i Segnati sono stati quasi tutti costretti alla macchia all'incalzare di un nemico invisibile che li tiene d'occhio da tempo. Una conclusione ricca di suspence che sarà preludio per il secondo albo di Strani Segni, che verrà lanciato in autunno.
Intanto le storie dei Segnati sono raccolte nel primo albo in ebook Strani Segni, edito da Limana Umanìta e curato dall'agenzia di consulenze editoriali Scriptorama. Lo trovate già nello store online della casa editrice (www.limanaumanita.com) e presto nelle maggiori librerie digitali.
Buone letture!
mercoledì 16 luglio 2014
mercoledì 30 aprile 2014
LA FUGA (parte II)
Ragazzi, eccomi di nuovo. Non posso dire da dove sono collegato, ma
anche in questo caso non voglio stare troppo tempo online.
Termino il racconto da dove l’ho lasciato.
Katia è appena entrata nel magazzino. Io, passamontagna sul viso,
risalgo la scala immersa nel silenzio.
Non appena arrivo al piano ammezzato, mi salta subito all'occhio un
particolare incongruo alle abitudini di Katia: la porta è
spalancata. Nessun rumore.
Pian piano faccio capolino: gli scatoloni sono rovesciati e le borse
sono sparse qua e là per la strettissima stanza.
Katia giace legata e imbavagliata a terra. Il suo sguardo è
terrorizzato.
Mi esce un «Oh cazzo» spontaneo.
Poi vedo il foglio. È attaccato con lo scotch da pacchi sulla
maglietta di Katia. Non c'è scritto nessun messaggio. Solo due
lunghissime S.
Al
secondo «Oh cazzo!», un po' più spaventato del precedente, arriva
rapidamente un aiuto dal mio inconscio. Sanno di me! Ma
chi? Come hanno fatto? Come …?
Non
startene lì imbambolato, gioia,
esclama nella mia testa la voce limpida di Cher, se hanno
saputo di Katia, sapranno anche di Puffo! Devi raggiungere il garage
prima di loro!
«Oh, no, cazzo, no, no, no!»
Mi precipito giù per le scale.
Per strada non vedo più niente, il mio animo è un crocevia di
emozioni violente, una sull'altra, incastrate in un'orribile
dissonanza. Alle mie spalle pulsano presenze invisibili, spettri e
lupi che appaiono e scompaiono; i rari passanti che incrocio
penseranno di avere qualche allucinazione, di aver interpretato male
i giochi d'ombra tra le colonne dei portici e di aver decisamente
bisogno di qualche ora in più di sonno.
Se succede qualcosa a Puffo, è colpa mia.
Arrivo al garage senza più fiato. La saracinesca è mezza alzata.
Mi
lancio dentro, senza pensare, imprudente, con l'unico pensiero di
salvare Puffo. Se non è già troppo tardi. Certo,
osserva Cher, Katia, l'hai lasciata nel magazzino legata
come un salame.
Ops,
è vero, realizzo io.
Beh, facciamo che siamo pari.
Appena
sollevo lo sguardo, mi sento gelare il sangue. Puffo è a terra senza
sensi. Un uomo sta in piedi di fianco a lui, vestito di nero,
occhiali scuri, si sistema i guanti. D'istinto penso a Mr. Smith di
Matrix.
Dopodiché accade tutto in pochi rapidissimi istanti.
Come se mi sgorgasse dal petto, un'onda nera guizza sul pavimento tra
me e Mr. Smith; non appena tocca terra, si plasma in una figura che
conosco bene.
Il gigantesco lupo fissa Mr. Smith, ringhiando furiosamente, con un
balzo si avventa sulla gola dell’uomo.
Non
dimenticherò mai quel rumore, quel crack!
orribile: mi ricorda mia madre quando spezzava il pollo, prima di
servirlo a tavola la domenica. Associarlo a una trachea umana, però,
è leggermente diverso.
«Oh cazzo!»
Prima di rendermi conto di aver ucciso un uomo, Mr. Smith si accascia
su se stesso e una macchia rossa si spande sul pavimento. Il lupo si
lecca il sangue dal muso, si volta e mi guarda, in attesa di ordini.
«Che cosa diavolo ho fatto?»
Forza,
nervi saldi, zucchero, mi
richiama Cher, soccorri Puffo, poi penserai a disfarti del
cadavere!
«Disfarmi del … oh, no! Non riesco neanche a dirlo!»
Accorro verso Puffo. Il suo viso è terribilmente pallido.
«Respira?» Sì, respira, grazie al cielo respira. «Oddio, cosa ti
hanno fatto? Perché?»
Perché
sapeva di te, mi rimbecca Cher,
con voce funerea.
«Non parlare al passato, porca puttana,» singhiozzo. Mi asciugo le
lacrime e gli sollevo la testa. Il suo corpo ricade a peso morto su
di me. Mi chino su di lui, col cuore a pezzi, perché lui era qui per
aiutarmi, perché voleva essermi amico e invece avrei dovuto
allontanarlo. Non è un cazzo di gioco, questo, non più.
L'ho
riportato a casa. Gli ho lasciato un biglietto: Per la tua
incolumità non cercarmi più. Fingi che sia morto.
Lo stesso biglietto l'ho lasciato sulla cassettiera di casa mia, così
A. lo vedrà al ritorno dalle vacanze di Pasqua. Se l'avessi scritto
col sangue, avrei provato meno dolore.
Ho chiuso a chiave il garage col cadavere dentro. Mi farò venire
un'idea prima che cominci a puzzare. Non so cosa farò, ma un'idea,
sì, un'idea mi verrà, mi verrà. Dopodiché dovrò fare i conti col
fatto di aver ucciso un uomo. Ma questa è un'altra storia.
Ora chiudo.
Devo sparire. Se voglio salvare chi amo, devo sparire.
E voi nascondetevi! Nascondetevi tutti!
Catch me if you can
I sogni sono iniziati un paio di settimane fa. Lunghi corridoi polverosi, le pareti costellate di specchi, il cui unico riflesso è un uomo pallido che appare di quando in quando, il busto tagliato a metà come in un quadro, gli occhi chiari e inespressivi. Mi guarda correre o forse fuggire, e il mio bisogno di affrettarmi è tale da cancellare tutto il resto: so (con l'ineluttabile consapevolezza propria dei sogni) che a forza di muovermi ritornerò all'inizio (ma di cosa?) e troverò la vecchia me stessa ad aspettarmi, quella ragazzina romantica scomparsa da così tanti anni che a volte penso non sia mai esistita.
Solo al risveglio mi ritrovo a chiedermi chi sia l'Osservatore. È come un dettaglio fuori posto e la sensazione che non appartenga davvero al mio sogno è inequivocabile, anche se impossibile da spiegare. Ha occhi di un azzurro chiarissimo in un viso glabro e scarno, il naso stretto e aquilino, lunghe labbra che sembrano sempre sul punto di piegarsi verso l'alto, in un sorrisetto colmo di disprezzo.
Non sono mai stata fisionomista, faccio fatica a riconoscere clienti e persino amici, perché una volta tolti dal contesto dove li incontro di solito per me ritornano a essere estranei, il cui cenno di saluto non posso fare a meno di accogliere con sospetto. Mi è sembrato quindi strano e un poco inquietante riuscire a ricordare con tale vivida esattezza le fattezze dell'Osservatore, e ancora più bizzarra la convinzione, illogica ma incrollabile, che la sua esistenza sia reale.
Un paio di giorni fa mi sono svegliata in piena notte, sudata e senza fiato, come se avessi corso davvero e non solo sognato di farlo. I gatti, di solito allargati in ampie chiazze pelose su tutto il materasso, avevano disertato en masse il letto, segno che mi dovevo essere davvero agitata troppo. Ho acceso la luce, con l'idea di bere un bicchiere d'acqua, leggere qualcosa, calmarmi un poco prima di riprovare a dormire. Il qualcosa da leggere è diventato alla fine il blog, e i vostri ultimi post.
Qualcuno che ci segue, dite. Qualcuno che ci sorveglia. Bene, dico io.
Ho intenzione di portare i gatti da mia madre, dove saranno al sicuro qualsiasi cosa capiti. Sono anni che parlo di andare a fare volontariato in qualche riserva naturale,magari in sud-america (almeno fa caldo) perciò anche se sparisco per sei mesi/un anno mamma non se ne stupirà, anzi, sarà contenta per me.
L'Attraverso potrà anche essere un posto enorme ma ormai so come navigarlo. Se “Loro” esistono davvero che provino a prendermi prima che sia io a trovarli. Tenetelo presente, mentre andate avanti con le vostre vite, o fate finta di. Potrei essere più vicina di quanto sospettiate.
Solo al risveglio mi ritrovo a chiedermi chi sia l'Osservatore. È come un dettaglio fuori posto e la sensazione che non appartenga davvero al mio sogno è inequivocabile, anche se impossibile da spiegare. Ha occhi di un azzurro chiarissimo in un viso glabro e scarno, il naso stretto e aquilino, lunghe labbra che sembrano sempre sul punto di piegarsi verso l'alto, in un sorrisetto colmo di disprezzo.
Non sono mai stata fisionomista, faccio fatica a riconoscere clienti e persino amici, perché una volta tolti dal contesto dove li incontro di solito per me ritornano a essere estranei, il cui cenno di saluto non posso fare a meno di accogliere con sospetto. Mi è sembrato quindi strano e un poco inquietante riuscire a ricordare con tale vivida esattezza le fattezze dell'Osservatore, e ancora più bizzarra la convinzione, illogica ma incrollabile, che la sua esistenza sia reale.
Un paio di giorni fa mi sono svegliata in piena notte, sudata e senza fiato, come se avessi corso davvero e non solo sognato di farlo. I gatti, di solito allargati in ampie chiazze pelose su tutto il materasso, avevano disertato en masse il letto, segno che mi dovevo essere davvero agitata troppo. Ho acceso la luce, con l'idea di bere un bicchiere d'acqua, leggere qualcosa, calmarmi un poco prima di riprovare a dormire. Il qualcosa da leggere è diventato alla fine il blog, e i vostri ultimi post.
Qualcuno che ci segue, dite. Qualcuno che ci sorveglia. Bene, dico io.
Ho intenzione di portare i gatti da mia madre, dove saranno al sicuro qualsiasi cosa capiti. Sono anni che parlo di andare a fare volontariato in qualche riserva naturale,magari in sud-america (almeno fa caldo) perciò anche se sparisco per sei mesi/un anno mamma non se ne stupirà, anzi, sarà contenta per me.
L'Attraverso potrà anche essere un posto enorme ma ormai so come navigarlo. Se “Loro” esistono davvero che provino a prendermi prima che sia io a trovarli. Tenetelo presente, mentre andate avanti con le vostre vite, o fate finta di. Potrei essere più vicina di quanto sospettiate.
Perché?
No, Lazzaro! Cos’hai
fatto? Dove sei finito? Alla fine avevo intuito il tuo disagio ma...
Prima Max, ora tu…
Spero solo, amico mio,
che questo sia solo un arrivederci, e non un addio.
Perché abbiamo ricevuto
questi poteri? Alla fine non hanno portato a niente se non a sconvolgere le
nostre vite. Perché ci accade tutto questo? Perché? Ne valeva la pena alla
fine?
RESISTENZA!
Hanno esagerato. Una volta di troppo.
Sono sempre stato calmo e buono. A volte persino codardo.
Ma ora mi hanno proprio fatto arrabbiare. E dicono che non c’è peggior arrabbiato di un calmo arrabbiato.
Ieri sarei dovuto andare a lavoro. Calma piatta, nessuna vettura sospetta nei pressi di casa nostra.
Chiamo un collega per farmi passare a prendere, così avrei lasciato l’auto a mia moglie, in caso di necessità.
«Mi hanno cambiato il turno bello. Non ci sono oggi. Mi spiace.»
«Grazie lo stesso» dico. “Merda. Non ci voleva” penso.
Abbraccio mia moglie.
«‘More, per ogni cosa chiama. Tengo il cel in tasca.»
Uno strano senso di inquietudine mi pervade.
“Fissazioni”
Controllo fuori. Tutto nella norma. Salgo in auto. Non parte. “Merda”.
Riprovo. Riprovo ancora. Scendo, controllo il motore. Per quel poco che ne capisco è tutto a posto.
Inizio a innervosirmi. Sudo. Mi guardo attorno.
“Sto perdendo il controllo”.
Finalmente si mette in moto. Parto.
Si è fatto tardi. Chiamo in struttura.
«Ho avuto problemi con l’auto. Faccio un po' tardi.»
«Guarda che ti han cambiato turno. Non ti hanno avvisato? Devi venire stasera.»
“Incazzato per niente”.
Volto l’auto e torno indietro. Per fortuna avevo fatto pochi chilometri, in meno di dieci minuti sono di nuovo a casa.
Ed eccoli lì, spudorati davanti a casa mia. La loro bella auto scura, lucida appena uscita dall’autolavaggio. E i loro completi scuri, occhiali da sole, manco fossero i MIB.
Parcheggio in una traversa laterale, così non vedono la mia auto, tanto sono certo conoscano modello e targa. Scendo e mi avvicino il più cauto possibile. Non mi vedono arrivare.
«Cerca XXX o prova con YYY è il cognome della moglie» dice il primo con un foglio in mano al secondo che sta controllando i nomi sul citofono.
“Bastardi”
«Intendi aspettarlo con la donna finchè non torna da lavoro?»
Sento il sangue ribollirmi dentro con tanta forza che mi scoppiano le tempie. Quasi si mozza il fiato.
“Devo fermarli”.
Il secondo si volta. Un movimento naturale, non credo mi abbia visto ma d’istinto mi acquatto dietro la siepe.
La siepe.
L’istinto è più veloce del pensiero. Come viticci mannari i rami dell’arbusto di recinzione si avvinghiano attorno ai due sconosciuti.
Si dimenano, tentano di urlare ma le foglie li imbavagliano.
Guardo il grande ulivo al centro del cortile.
“Stordiscili!”.
E due nodosi rami si abbattono sulle loro teste.
Si afflosciano al suolo.
Grazie al cielo non un’anima intorno. Non so se occhi indiscreti scrutano da dietro le finestre. Non ho tempo per pensarci.
Corro all’auto. Il cuore mi batte in gola. Non so cosa sto facendo ma cinque minuti dopo ho i due sacchi di foglie in auto e sto correndo come un pazzo.
Mentre imbocco un sentiero sterrato i dubbi mi assalgono.
“E se invece che due di “loro” sono solo due pirla che volevano vendermi un paio di aspirapolveri?”
“E se fossero stati davvero quelli del recupero crediti?”
“Non può essere una coincidenza. DEVONO essere loro!”
Li abbandono nel primo fosso fuori mano che incontro e torno a casa.
Non sono mai stato coraggioso. Men che meno un violento.
Ma come ho sentito la mia famiglia in pericolo non ho ragionato più.
Sanno chi siamo e magari leggono pure questo blog.
Allora vi dico questo.
Amici.
Venite qua se cercate rifugio. Vi do il mio indirizzo.
Nemici.
Se mi leggete, venite pure voi. Vi lascio il mio indirizzo se volete. Ho una foresta in casa e un bosco davanti.
Venite a prendermi se ne avete il coraggio!
Sono sempre stato calmo e buono. A volte persino codardo.
Ma ora mi hanno proprio fatto arrabbiare. E dicono che non c’è peggior arrabbiato di un calmo arrabbiato.
Ieri sarei dovuto andare a lavoro. Calma piatta, nessuna vettura sospetta nei pressi di casa nostra.
Chiamo un collega per farmi passare a prendere, così avrei lasciato l’auto a mia moglie, in caso di necessità.
«Mi hanno cambiato il turno bello. Non ci sono oggi. Mi spiace.»
«Grazie lo stesso» dico. “Merda. Non ci voleva” penso.
Abbraccio mia moglie.
«‘More, per ogni cosa chiama. Tengo il cel in tasca.»
Uno strano senso di inquietudine mi pervade.
“Fissazioni”
Controllo fuori. Tutto nella norma. Salgo in auto. Non parte. “Merda”.
Riprovo. Riprovo ancora. Scendo, controllo il motore. Per quel poco che ne capisco è tutto a posto.
Inizio a innervosirmi. Sudo. Mi guardo attorno.
“Sto perdendo il controllo”.
Finalmente si mette in moto. Parto.
Si è fatto tardi. Chiamo in struttura.
«Ho avuto problemi con l’auto. Faccio un po' tardi.»
«Guarda che ti han cambiato turno. Non ti hanno avvisato? Devi venire stasera.»
“Incazzato per niente”.
Volto l’auto e torno indietro. Per fortuna avevo fatto pochi chilometri, in meno di dieci minuti sono di nuovo a casa.
Ed eccoli lì, spudorati davanti a casa mia. La loro bella auto scura, lucida appena uscita dall’autolavaggio. E i loro completi scuri, occhiali da sole, manco fossero i MIB.
Parcheggio in una traversa laterale, così non vedono la mia auto, tanto sono certo conoscano modello e targa. Scendo e mi avvicino il più cauto possibile. Non mi vedono arrivare.
«Cerca XXX o prova con YYY è il cognome della moglie» dice il primo con un foglio in mano al secondo che sta controllando i nomi sul citofono.
“Bastardi”
«Intendi aspettarlo con la donna finchè non torna da lavoro?»
Sento il sangue ribollirmi dentro con tanta forza che mi scoppiano le tempie. Quasi si mozza il fiato.
“Devo fermarli”.
Il secondo si volta. Un movimento naturale, non credo mi abbia visto ma d’istinto mi acquatto dietro la siepe.
La siepe.
L’istinto è più veloce del pensiero. Come viticci mannari i rami dell’arbusto di recinzione si avvinghiano attorno ai due sconosciuti.
Si dimenano, tentano di urlare ma le foglie li imbavagliano.
Guardo il grande ulivo al centro del cortile.
“Stordiscili!”.
E due nodosi rami si abbattono sulle loro teste.
Si afflosciano al suolo.
Grazie al cielo non un’anima intorno. Non so se occhi indiscreti scrutano da dietro le finestre. Non ho tempo per pensarci.
Corro all’auto. Il cuore mi batte in gola. Non so cosa sto facendo ma cinque minuti dopo ho i due sacchi di foglie in auto e sto correndo come un pazzo.
Mentre imbocco un sentiero sterrato i dubbi mi assalgono.
“E se invece che due di “loro” sono solo due pirla che volevano vendermi un paio di aspirapolveri?”
“E se fossero stati davvero quelli del recupero crediti?”
“Non può essere una coincidenza. DEVONO essere loro!”
Li abbandono nel primo fosso fuori mano che incontro e torno a casa.
Non sono mai stato coraggioso. Men che meno un violento.
Ma come ho sentito la mia famiglia in pericolo non ho ragionato più.
Sanno chi siamo e magari leggono pure questo blog.
Allora vi dico questo.
Amici.
Venite qua se cercate rifugio. Vi do il mio indirizzo.
Nemici.
Se mi leggete, venite pure voi. Vi lascio il mio indirizzo se volete. Ho una foresta in casa e un bosco davanti.
Venite a prendermi se ne avete il coraggio!
martedì 29 aprile 2014
GLI INVINCIBILI
Lazzaro non c’è più.
Credo che leggendo i suoi vecchi post possiate intuire chi sono.
Mi ha affidato le sue parole lasciandomi una lettera senza finale. Tre puntini sul fondo del foglio bianco che sospendono la sua vita e la mia speranza.
Le poche righe spiegano come raggiungere questo blog, come contattarvi, come parlarvi. Fin dall’inizio, ha usato un mio vecchio profilo, jeje, di cui avevo dimenticato la password. Lui l’ha recuperata e annotata al margine del foglio sotto un disegno che rappresenta il suo segno. Credo che abbia usato quel profilo perché sentiva fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, sapeva come il cerchio, nel suo caso, si sarebbe chiuso. Non so quando l’abbia scritta, forse nel momento in cui ha capito che quest’ultimo grande sforzo avrebbe richiesto la sua vita in cambio.
“Vieni a prenderlo questa notte, lo troverai davanti alla sua tomba.” Questo è il messaggio che Lazzaro mi ha mandato e nonostante sia salita in macchina e abbia provato a chiamarlo per tutto il tempo, lui non ha mai risposto.
Quando sono arrivata suo fratello era lì. Seduto spalle al muro, completamente nudo.
Ora è a casa mia: è un ragazzino di tredici anni che osservo mentre dorme nel mio letto; cerco disperatamente di cogliere delle somiglianze con Lazzaro in questo viso da bambino. Non ricorda quasi nulla, è pallido, debole, trema sotto il peso di una febbre incessante. Non ho detto a nessuno della sua “nuova” vita. Nemmeno i suoi genitori lo sanno.
Quando ero là ho osservato la sua tomba: io riuscivo a capire che il marmo era stato smosso perché sapevo, ma nel complesso era perfettamente integra. Forse, se suo fratello riacquisterà la memoria, potrò chiedere conto a lui degli attimi successivi al suo “ritorno”.
Nella lettera mi chiede di ringraziarvi tutti quanti: Max, Portatore di Luce, Andryad e il resto dei segnati. D.E.M.: Lazzaro nella lettera mi raccomanda di salutarti. Nei vostri ultimi avvenimenti risiede la mia speranza, nelle strane persone che qualcuno di voi ha avvistato di recente. Io spero che sia stato qualcuno di questi a portarlo via, che l’abbia rapito magari, lo stesso che si è preoccupato di nascondere le tracce della resurrezione di suo fratello. Spero che il tuo sogno ricorrente, D.E.M., sia la conferma del mio desiderio: forse un giorno vi incontrerete tutti in un posto speciale e forse io potrò riabbracciarlo.
In fondo alla lettera c’è la citazione di una poesia di William Ernest Henley.
“Dalla notte che mi avvolge,
nera come la fossa dell’Inferno,
rendo grazie a qualunque dio ci sia
per la mia anima invincibile.”
Con queste parole Lazzaro vi chiede di tenere duro segnati e io vi chiedo di farlo anche da parte sua.
Credo che leggendo i suoi vecchi post possiate intuire chi sono.
Mi ha affidato le sue parole lasciandomi una lettera senza finale. Tre puntini sul fondo del foglio bianco che sospendono la sua vita e la mia speranza.
Le poche righe spiegano come raggiungere questo blog, come contattarvi, come parlarvi. Fin dall’inizio, ha usato un mio vecchio profilo, jeje, di cui avevo dimenticato la password. Lui l’ha recuperata e annotata al margine del foglio sotto un disegno che rappresenta il suo segno. Credo che abbia usato quel profilo perché sentiva fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, sapeva come il cerchio, nel suo caso, si sarebbe chiuso. Non so quando l’abbia scritta, forse nel momento in cui ha capito che quest’ultimo grande sforzo avrebbe richiesto la sua vita in cambio.
“Vieni a prenderlo questa notte, lo troverai davanti alla sua tomba.” Questo è il messaggio che Lazzaro mi ha mandato e nonostante sia salita in macchina e abbia provato a chiamarlo per tutto il tempo, lui non ha mai risposto.
Quando sono arrivata suo fratello era lì. Seduto spalle al muro, completamente nudo.
Ora è a casa mia: è un ragazzino di tredici anni che osservo mentre dorme nel mio letto; cerco disperatamente di cogliere delle somiglianze con Lazzaro in questo viso da bambino. Non ricorda quasi nulla, è pallido, debole, trema sotto il peso di una febbre incessante. Non ho detto a nessuno della sua “nuova” vita. Nemmeno i suoi genitori lo sanno.
Quando ero là ho osservato la sua tomba: io riuscivo a capire che il marmo era stato smosso perché sapevo, ma nel complesso era perfettamente integra. Forse, se suo fratello riacquisterà la memoria, potrò chiedere conto a lui degli attimi successivi al suo “ritorno”.
Nella lettera mi chiede di ringraziarvi tutti quanti: Max, Portatore di Luce, Andryad e il resto dei segnati. D.E.M.: Lazzaro nella lettera mi raccomanda di salutarti. Nei vostri ultimi avvenimenti risiede la mia speranza, nelle strane persone che qualcuno di voi ha avvistato di recente. Io spero che sia stato qualcuno di questi a portarlo via, che l’abbia rapito magari, lo stesso che si è preoccupato di nascondere le tracce della resurrezione di suo fratello. Spero che il tuo sogno ricorrente, D.E.M., sia la conferma del mio desiderio: forse un giorno vi incontrerete tutti in un posto speciale e forse io potrò riabbracciarlo.
In fondo alla lettera c’è la citazione di una poesia di William Ernest Henley.
“Dalla notte che mi avvolge,
nera come la fossa dell’Inferno,
rendo grazie a qualunque dio ci sia
per la mia anima invincibile.”
Con queste parole Lazzaro vi chiede di tenere duro segnati e io vi chiedo di farlo anche da parte sua.
Che qualcuno sappia qualcosa?
Mentre
a voi capitano le cose più strabilianti del mondo, io sono riuscita
a vendicarmi solo in parte.
Non
è stato particolarmente divertente, né così liberatorio come
pensavo.
Adesso
mi sento decisamente più sicura quando si tratta di usare il mio
potere, quindi divento invisibile tranquillamente anche mentre sono
al lavoro. Mi infilo in una stanza vuota, lascio la porta
semi-aperta, attivo il potere ed esco. Un po' come Superman nella
cabina del telefono.
Non
si accorge mai di niente nessuno.
Vanno
tutti in giro avanti e indietro per i corridoi come se il moto
dell'universo dipendesse da loro.
Ma
Einstein aveva capito che l'umanità è soltanto un grande criceto
sulla sfera terrestre?
In
questi giorni sono sempre stata al lavoro, con la scusa che la mia
famiglia è lontana mi fanno coprire tutti i turni festivi. Ho detto
di sì ma non per bontà, volevo avere meno persone possibili tra i
piedi per vendicarmi con calma.
Tutti
i presenti a quel maledetto tavolo che mi hanno offesa dovevano
pagarla, in qualche modo. Dividi et impera. Però frugando e spiando,
coperta dall'invisibilità, ho scoperto solo vite molto squallide.
Qualche
amante, debiti di poco conto, litigi domestici di periferia. La
vendetta quindi non è stata all'altezza della mia incazzatura. Ho
usato i loro cellulari per inviare sms agli amanti per farli
lasciare, girato email alle mogli con allegati i saldi bancari e
altri scherzetti del genere.
Insomma,
non sono per niente contenta, roba da seconda elementare.
Tant'è
che ho chiamato il mio capo redattore centrale chiedendogli di farmi
tornare a casa, visto che qua non ci sto a fare più nulla. Sono
stata inviata mesi fa a seguire un omicida seriale di cui non si
hanno notizie da un bel po'.
“Considerala
una vacanza, ci fai comodo là” mi ha risposto l'idiota.
“Ma
quale vacanza” ho gridato al telefono “qua mi rincoglionisco come
questi paesani del cavolo!”
Lui
è rimasto impassibile. Mi ha trattata come una bambina che fa i
capricci.
“Dai
che sei bravissima –ha chiuso- hai fatto tante cose diverse dal
solito da quando sei nella nuova redazione e hai modo di esprimerti
senza che nessuno ti veda, no? Non vorrai mica sparire nel nulla
senza avvisare i tuoi colleghi? Che maleducata…”
E
riagganciando rideva, l'ho sentito chiaramente.
Ho
sentito correre i brividi lungo la schiena.
Se
non sapessi che è impossibile, penserei che conosce il mio segreto.
Ho
modo di esprimermi senza che nessuno mi veda… Sparire così…?
No,
è solo il mio senso di colpa che mi fa perdere la lucidità.
Ma
anche a voi stanno accadendo cose strane, quindi perché io dovrei
essere più al sicuro?
Per
non parlare della cicatrice, che brucia da morire…
lunedì 28 aprile 2014
Io non ci sto!
Leggere questo blog è diventato avvilente e preoccupante. Tutti che scappano e si rintanano da qualche parte. Da quando Max ci ha abbandonato è scoppiato il delirio.
Non pensate che questo possa essere il gioco di chi ci dà la caccia?
Dividerci per renderci deboli e vulnerabili!
Avanti. Capisco che non abbiamo ancora piena consapevolezza dei nostri poteri e che son più i problemi che ci hanno creato dei vantaggi. Ma possibile che la fuga sia l’unica reazione possibile? Dividerci e sparire?
Persino Sybil che ha creato questo blog non si fa più sentire. Rapita? Nascosta?
O eri uno degli ingranaggi dei nostri fantomatici inseguitori?
Questo blog non è più sicuro? Lo è mai stato?
Ogni volta che mi connetto e vi leggo i dubbi mi assalgono.
E pensare che tutto filava a meraviglia. Nessuno dei miei “pazzi criminali” ha più tentato la fuga.
Si è diffusa la voce che il bosco sia stregato. Alberi che si muovono e picchiano chi fugge.
Mai stato più facile il lavoro.
Per precauzione ho convinto pure la direttrice ad aumentare il “verde ornamentale” in struttura. In ogni angolo c’è almeno un vasetto di fiori.
Mi ero illuso che tutte le storie di inseguimenti e rapimenti fossero frutto della vostra immaginazione.
Fino a due settimane fa.
Amaramente mi son dovuto ricredere.
«Ma che hai combinato?»
Ero a pranzo dai miei. Mia madre mi prende in disparte a fine pasto.
La guardo incerto.
«Son venuti dei signori, tutti eleganti. Ti cercavano. Han detto che non ti han trovato dove abitavi e che dovevano parlare con te.»
«E tu cosa hai risposto?» Sudo freddo. In un attimo mi si sono accavallati davanti agli occhi tutti i vostri messaggi.
«Non mi han detto per cosa ti cercavano. Ho pensato fosse per i debiti col vecchio locale. Allora gli ho detto che ti sei appena trasferito per lavoro dalle parti di Napoli… e che ancora non mi hai fatto sapere dove sei e come stai. Ho fatto bene, no?»
«Sì sono loro.» Rispondo incerto. «Hai fatto benissimo. Ti hanno creduto?»
«Non hanno insistito e son andati via. Ma l’Anto mi ha detto che han fatto domande un po' a tutti nel paese per sapere dove vivi adesso. Ma non avevi risolto tutto con l’avvocato?»
« Cosi mi aveva detto. Hai fatto bene così. Adesso lo chiamo e vediamo cosa vogliono. Ma non ti preoccupare!»
L’abbraccio. Abbraccio tutti. E parto velocemente alla volta di casa, controllando prima di partire se ci sono auto o tizi strani nei dintorni. Per fortuna il mio paesino è piccolo. Poche macchine tutte rigorosamente nei garage. È facile vedere se c’è qualcuno di nuovo in giro.
Via libera e parto.
Me ne sono andato con circospezione, guardando mille volte nello specchietto retrovisore se fossi seguito.
Sanno chi siamo? Decisamente.
Cosa vogliono da noi non lo so. Ma non mi piacciono questi sistemi né sentirmi seguito e braccato.
Ho rimuginato per una settimana sulla cosa fino a domenica scorsa. Ho accompagnato mia moglie e mio figlio in piazza tre martiri a Rimini. I volontari della Croce Rossa distribuivano bonsai per la ricerca sull’Aids.
Illuminazione.
Alberi in miniatura. Chissà quali portenti posso ricavarne.
Beneficienza senza dare troppo nell’occhio; per la gioia dei volontari ne compro una decina. Uno per ogni stanza della casa, uno per il cruscotto dell’auto. Uno per il mio spogliatoio a lavoro.
E ho iniziato ad allenarmi.
Non pensate che questo possa essere il gioco di chi ci dà la caccia?
Dividerci per renderci deboli e vulnerabili!
Avanti. Capisco che non abbiamo ancora piena consapevolezza dei nostri poteri e che son più i problemi che ci hanno creato dei vantaggi. Ma possibile che la fuga sia l’unica reazione possibile? Dividerci e sparire?
Persino Sybil che ha creato questo blog non si fa più sentire. Rapita? Nascosta?
O eri uno degli ingranaggi dei nostri fantomatici inseguitori?
Questo blog non è più sicuro? Lo è mai stato?
Ogni volta che mi connetto e vi leggo i dubbi mi assalgono.
E pensare che tutto filava a meraviglia. Nessuno dei miei “pazzi criminali” ha più tentato la fuga.
Si è diffusa la voce che il bosco sia stregato. Alberi che si muovono e picchiano chi fugge.
Mai stato più facile il lavoro.
Per precauzione ho convinto pure la direttrice ad aumentare il “verde ornamentale” in struttura. In ogni angolo c’è almeno un vasetto di fiori.
Mi ero illuso che tutte le storie di inseguimenti e rapimenti fossero frutto della vostra immaginazione.
Fino a due settimane fa.
Amaramente mi son dovuto ricredere.
«Ma che hai combinato?»
Ero a pranzo dai miei. Mia madre mi prende in disparte a fine pasto.
La guardo incerto.
«Son venuti dei signori, tutti eleganti. Ti cercavano. Han detto che non ti han trovato dove abitavi e che dovevano parlare con te.»
«E tu cosa hai risposto?» Sudo freddo. In un attimo mi si sono accavallati davanti agli occhi tutti i vostri messaggi.
«Non mi han detto per cosa ti cercavano. Ho pensato fosse per i debiti col vecchio locale. Allora gli ho detto che ti sei appena trasferito per lavoro dalle parti di Napoli… e che ancora non mi hai fatto sapere dove sei e come stai. Ho fatto bene, no?»
«Sì sono loro.» Rispondo incerto. «Hai fatto benissimo. Ti hanno creduto?»
«Non hanno insistito e son andati via. Ma l’Anto mi ha detto che han fatto domande un po' a tutti nel paese per sapere dove vivi adesso. Ma non avevi risolto tutto con l’avvocato?»
« Cosi mi aveva detto. Hai fatto bene così. Adesso lo chiamo e vediamo cosa vogliono. Ma non ti preoccupare!»
L’abbraccio. Abbraccio tutti. E parto velocemente alla volta di casa, controllando prima di partire se ci sono auto o tizi strani nei dintorni. Per fortuna il mio paesino è piccolo. Poche macchine tutte rigorosamente nei garage. È facile vedere se c’è qualcuno di nuovo in giro.
Via libera e parto.
Me ne sono andato con circospezione, guardando mille volte nello specchietto retrovisore se fossi seguito.
Sanno chi siamo? Decisamente.
Cosa vogliono da noi non lo so. Ma non mi piacciono questi sistemi né sentirmi seguito e braccato.
Ho rimuginato per una settimana sulla cosa fino a domenica scorsa. Ho accompagnato mia moglie e mio figlio in piazza tre martiri a Rimini. I volontari della Croce Rossa distribuivano bonsai per la ricerca sull’Aids.
Illuminazione.
Alberi in miniatura. Chissà quali portenti posso ricavarne.
Beneficienza senza dare troppo nell’occhio; per la gioia dei volontari ne compro una decina. Uno per ogni stanza della casa, uno per il cruscotto dell’auto. Uno per il mio spogliatoio a lavoro.
E ho iniziato ad allenarmi.
LA FUGA (parte I)
Ragazzi, sto scrivendo questo post in fretta e non so quando potrò
scrivervi di nuovo: sono col cellulare, ma tra poco lo abbandonerò
da qualche parte, così non potranno rintracciarmi.
Non so se altri di voi nel blog hanno avuto la stessa esperienza,
spero di no, non faccio in tempo a leggervi. Sto scappando.
Ma partiamo dal principio. Se avrò abbastanza tempo.
Dopo diversi giorni, l'allenamento ha prodotto finalmente i suoi
frutti: comincio a padroneggiare il mio potere.
Perché
quello che non capivo prima è che non devo tanto concentrarmi sulle
immagini – niente Bahamut, sigh! – ma sulle emozioni. Soffermarsi
e focalizzarne una e lo spirito, l'eidolon, appare da solo. Quali
emozioni siano, ancora non mi è molto chiaro – tranne lo Spettro,
lui è quell'oscurità con cui ho convissuto fino al mio coming
out, ma questa è un'altra
storia – sono indistinte sfumature cromatiche che si espandono e
s'intrecciano. La mia abilità sta nell'acchiappare la sfumatura
giusta, l'incastro perfetto tra più sensazioni, un po' come
cucinare. Solo che io a cucinare sono una frana, non è proprio un
buon auspicio.
Puffo si è rivelato un ottimo amico e aiutante anche in questo
frangente. Per focalizzare una certa emozione, mi suggeriva delle
situazioni particolari.
«Pensa a Katia,» diceva ad esempio, «pensa a Katia!»
In men che non si dica mi ribolliva il sangue ed ecco che il lupo
faceva capolino da dietro un angolo, apparso dal nulla.
Durante tutta la durata degli allenamenti non si è mai manifestato
il leone di fuoco. Mai. Come se si fosse assopito da qualche parte,
nascosto nel mio animo.
La sera della vendetta è finalmente arrivata, il 22 aprile, appena
finite le vacanze di Pasqua.
A. è sceso dai suoi genitori da una settimana e ci resterà ancora
per un po’. «Mi dispiace di non poter passare la Pasqua con te,»
ho mormorato, mentre il treno arrivava alla stazione, «ma in negozio
niente ferie, che sfiga!»
«Tranquillo, non è colpa tua,» mi ha risposto. «Ci vediamo quando
torno.»
Mi ha salutato con un bellissimo bacio. Non dimenticherò mai quel
bacio.
Poco dopo ho raggiunto Puffo nel garage.
«Il piano per stasera è molto semplice,» gli spiego, «Katia
stasera fa chiusura, poi andrà a cambiarsi nel magazzino del negozio
che è nel palazzo di fianco.»
«Avete più magazzini?» si meraviglia Puffo.
«Sì, tre,» gli spiego, «due dei quali nel palazzo di fianco al
negozio. Questa cosa la sappiamo solo noi che ci lavoriamo. E tu.»
Puffo annuisce.
«Ci avviciniamo alla porta del magazzino, che lei lascia socchiusa,
evoco il lupo e le faccio prendere uno spavento che non se lo scorda
più. Vedrai che domattina corre a licenziarsi!»
Onestamente mi aspettavo che Puffo balzasse in piedi con sdegno,
sbandierando la sua contrarietà a questa mia idea immorale. Invece
lui piega la bocca verso il basso, solleva le sopracciglia. «Beh, se
è questo che vuoi, devi nascondere la tua identità.»
Estrae dalla borsa un pacco voluminoso.
«Cos'è?»
«Il tuo travestimento.»
«Cosa?»
«Volevi un costume, mi pare. Beh, eccolo.»
«Ti prego dimmi che è un costume da Sailor Moon!»
«Smettila, il plissettato sugli uomini non si guarda. Non so gli
Scozzesi come fanno.»
Appena cala la notte, m'infilo un impermeabile nero e degli scarponi.
La felpa che mi ha modificato Puffo ha un cappuccio che si può
tirare sulla faccia e diventa un passamontagna. Insomma, sono vestito
da ladro. Beh, per passare inosservato è l'ideale, no?
Dall'altra parte della strada, Katia esce dal negozio sbuffando.
Chiude nervosamente a chiave ed entra nel palazzo di fianco, diretta
verso il magazzino.
Aspetto qualche minuto, lascio che passino un gruppetto di ragazzi e
alcune anziane a spasso coi cani. Quando la via è abbastanza libera,
attraverso con naturalezza ed entro nel palazzo. Risalgo la scala
immersa nel silenzio e appena mi avvicino …
C’è qualcuno, devo scollegarmi. Mi sono dilungato troppo, cercherò
di tornare appena possibile e scrivere il resto.
Nel frattempo, cautela e … guardatevi bene intorno!
Una Nuova Vita
C'era un fuoco dentro di me, una passione che con gli anni si è smorzata, come ali tagliate ad angeli caduti. L'illusione dà grande forza fino a quando non si scioglie di fronte alla verità, e negli ultimi giorni il buio ha ceduto il passo alla luce della consapevolezza. Parlo a voi, che riuscite a capire cosa vuol dire aver visto la propria vita crollare come un castello di carte, che avete visto il concretizzarsi di un destino duro come il granito, che siete venuti a patti con il vostro potere, che siete stati costretti ad essere consapevoli che tutto cambia, senza che l'uomo si possa opporre. Ma qualsiasi cosa abbiate scoperto su voi stessi, a me è andata decisamente peggio.
Loro sono venuti a trovarmi, e non è stato bello, inizialmente.
Sono settimane che parlano, che mi spiegano, che regalano la loro coscienza a me, che in realtà non sono nessuno. Mi hanno spiegato che non possiedo un'anima, che il mio corpo è solo un involucro senza vita, un semplice ricettacolo per vite vissute da altri. Tutto ciò che ho costruito è stata una immensa illusione, il mio lavoro, la mia famiglia, i miei amici... Tutti i miei successi, i miei amori perduti e guadagnati, i miei sbagli, le mie passioni, le mie delusioni, gli avvenimenti che hanno permeato e scadenzato gli anni passati, tutto ciò è stata una immensa beffa del destino, vissuta da spiriti con i propri obiettivi da perseguire, e che per essi mi hanno usato. Il segno mi ha donato la consapevolezza e la capacità di controllare queste anime, usandone la loro energia per conoscere l'inconoscibile.
Ho visto ombre di donne e di uomini che, con vera compassione, hanno cercato di mostrarmi affetto per ciò che avevo fatto, mostrandomi i risultati delle mie azioni. La vittima dello stupro e dell'omicidio che avevo vendicato la prima volta che il mio potere si era manifestato, un rapinatore che aveva ucciso la vittima del furto, pentitosi negli ultimi istanti della sua morte a causa del mio tocco, il bambino, Luca, che alla fine aveva perdonato i suoi genitori e aveva preferito donargli la speranza, piuttosto che la morte. Ma anche altri, dei quali non ero stato consapevole negli ultimi due mesi, mostri che passano accanto all'umanità, indisturbati ed invisibili, ma riconoscibili dal mio potere. Alla fine, quando il mio cuore aveva perso molti battiti e ciò che restava del mio corpo avrebbe desiderato solo la pace, ieri sera è arrivata l'ultima presenza: non riuscivo a distinguerla, la luce che illuminava gli altri spiriti e che riuscivo a percepire era solo una pallida copia rispetto ad essa e il suo calore non mi infastidiva, anzi mi riempiva, prendendo il posto del vuoto che c'era al posto della mia anima. La udii parlare, ma ad un livello più elevato. “E' arrivato il momento del mio dono...”. “Quale?”, chiesi. “Ciò che non hai, io posso dartelo. Avrai un'anima, con la quale potrai ricominciare da capo, e se vorrai, con essa avrai un maggiore controllo del tuo potere. Potrai usarlo con coscienza, accedendo alle energie spirituali del mondo inconoscibile degli spettri, ma in cambio sarai l'agente di un ordine del quale il mondo materiale non dovrà mai sapere. Sarai il passaggio per i fantasmi senza pace, la loro forza ti darà modo di cambiare il destino degli uomini e in cambio ti concederò la vita che non hai mai vissuto, della quale ti sei sempre illuso. Accetti il patto?”. La risposta era scontata.
Adesso sono davvero cosciente, adesso avverto tutto ciò che mi circonda, adesso possiedo un mezzo per cambiare il mondo, la facoltà di essere veramente un passaggio fra questo ed un altro mondo.
Adesso e per sempre io sono “La Soglia”.
Loro sono venuti a trovarmi, e non è stato bello, inizialmente.
Sono settimane che parlano, che mi spiegano, che regalano la loro coscienza a me, che in realtà non sono nessuno. Mi hanno spiegato che non possiedo un'anima, che il mio corpo è solo un involucro senza vita, un semplice ricettacolo per vite vissute da altri. Tutto ciò che ho costruito è stata una immensa illusione, il mio lavoro, la mia famiglia, i miei amici... Tutti i miei successi, i miei amori perduti e guadagnati, i miei sbagli, le mie passioni, le mie delusioni, gli avvenimenti che hanno permeato e scadenzato gli anni passati, tutto ciò è stata una immensa beffa del destino, vissuta da spiriti con i propri obiettivi da perseguire, e che per essi mi hanno usato. Il segno mi ha donato la consapevolezza e la capacità di controllare queste anime, usandone la loro energia per conoscere l'inconoscibile.
Ho visto ombre di donne e di uomini che, con vera compassione, hanno cercato di mostrarmi affetto per ciò che avevo fatto, mostrandomi i risultati delle mie azioni. La vittima dello stupro e dell'omicidio che avevo vendicato la prima volta che il mio potere si era manifestato, un rapinatore che aveva ucciso la vittima del furto, pentitosi negli ultimi istanti della sua morte a causa del mio tocco, il bambino, Luca, che alla fine aveva perdonato i suoi genitori e aveva preferito donargli la speranza, piuttosto che la morte. Ma anche altri, dei quali non ero stato consapevole negli ultimi due mesi, mostri che passano accanto all'umanità, indisturbati ed invisibili, ma riconoscibili dal mio potere. Alla fine, quando il mio cuore aveva perso molti battiti e ciò che restava del mio corpo avrebbe desiderato solo la pace, ieri sera è arrivata l'ultima presenza: non riuscivo a distinguerla, la luce che illuminava gli altri spiriti e che riuscivo a percepire era solo una pallida copia rispetto ad essa e il suo calore non mi infastidiva, anzi mi riempiva, prendendo il posto del vuoto che c'era al posto della mia anima. La udii parlare, ma ad un livello più elevato. “E' arrivato il momento del mio dono...”. “Quale?”, chiesi. “Ciò che non hai, io posso dartelo. Avrai un'anima, con la quale potrai ricominciare da capo, e se vorrai, con essa avrai un maggiore controllo del tuo potere. Potrai usarlo con coscienza, accedendo alle energie spirituali del mondo inconoscibile degli spettri, ma in cambio sarai l'agente di un ordine del quale il mondo materiale non dovrà mai sapere. Sarai il passaggio per i fantasmi senza pace, la loro forza ti darà modo di cambiare il destino degli uomini e in cambio ti concederò la vita che non hai mai vissuto, della quale ti sei sempre illuso. Accetti il patto?”. La risposta era scontata.
Adesso sono davvero cosciente, adesso avverto tutto ciò che mi circonda, adesso possiedo un mezzo per cambiare il mondo, la facoltà di essere veramente un passaggio fra questo ed un altro mondo.
Adesso e per sempre io sono “La Soglia”.
venerdì 25 aprile 2014
Prevedere le conseguenze (ovvero vola basso, D.E.M.)
Non finirò mai di
ringraziare Lazzaro per essere venuto ad aiutarmi a sistemare i miei casini. Dopo
essere usciti dall’ospedale ci siamo nascosti in una tavola calda il più
lontano possibile, a rimuginare su quanto era successo e sulla nostra vita in
generale prima di salutarci. Chissà se ci rivedremo.
Quest’ultima avventura
insieme mi ha fatto riflettere molto: inebriato dal mio potere ho perso di
vista le cose più importanti, e ho sottovalutato l’impatto che uno come me –
anzi, come noi – può avere sul mondo.
Non so cosa ci sia
successo, se è tutto parte di qualcosa di più grande o se è casuale, ma ora ho
finalmente capito che noi “Segnati”, siamo molto più di esseri umani con
superpoteri: siamo delle schegge impazzite, siamo mosche bianche in uno sciame
di mosche nere, possiamo essere, allo stesso tempo, quelli che salveranno il
mondo o che lo distruggeranno. In ogni caso lo cambieremo. E soltanto per il
fatto che esistiamo.
Oggi ho deciso di
ricominciare a giocare a scacchi. Non perché fa figo, o perché mi reputo
intelligente (la mia ultima avventura dimostra che non lo sono affatto), ma
perché gli scacchi sono un gioco che ti costringe a riflettere su ogni singola
mossa che fai. Per ogni pezzo che muovi devi essere in grado di prevedere non
solo la mossa successiva dell’avversario, ma le sei, sette successive; devi
essere in grado di prevedere l’intera partita, perché ogni mossa che farai avrà
delle conseguenze.
Devo essere in grado di
prevedere le conseguenze. Come se fossi un veggente.
Per questo, d’ora in
poi avrò un profilo basso, userò il mio potere solo quando è indispensabile e
mai in maniera troppo incisiva. I tizi che hanno preso Max Steel potrebbero
arrivare anche a me.
P.S. Da qualche giorno
faccio un sogno inquietante: sono in uno stanzone bianco senza porte né
finestre e sono circondato da persone. In qualche modo so che siete tutti voi,
anche se non vi ho mai visto prima (tranne, ovviamente, Lazzaro). Tutti i
“Segnati” riuniti in un solo posto. All’improvviso, una voce proveniente da
chissà dove mi fa sobbalzare: «Vi siete esercitati abbastanza.» dice la voce,
non riesco a capire se di uomo o di donna «È arrivato il momento di compiere la
vostra missione.»
A quel punto mi
sveglio. Che vorrà dire questo sogno? Succede solo a me o anche qualcuno di voi
ne ha fatto uno simile?
mercoledì 23 aprile 2014
PASQUA DI RESURREZIONE
È difficile credere a ciò che non si vede…
«Scusami.»
«Non c’è bisogno: se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto nemmeno io.»
È una casetta situata in una zona pedemontana tra una serie di verdi ondulazioni che gareggiano una sull’altra in avvallamenti e monticcioli. In questo periodo gli ulivi hanno il fiore verdognolo, sui campi spruzzi di giallo e viola indicano distese di fiori selvatici. C’è un grosso albero di acacia che si affaccia sulla strada e alle finestre ci sono ancora gli scuri antichi per chiudere fuori la notte.
Un luogo perfetto che ho fatto di tutto per prendere in affitto a Pasqua. Da lì si può osservare la cima del monte bucare la foschia della sera, recuperare le forze dopo l’avventura con D.E.M. e riflettere ascoltando il canto dell’assiolo levarsi tra l’erba ricoperta di brina.
Ogni mattina faccio una corsetta, tre chilometri tutti in salita fino a una vecchia quercia dentro un boschetto. Mi fermo lì e mi sciacquo la faccia nel mormorio primaverile di un torrentello. Mi riposo venti minuti poi torno indietro camminando.
«Oggi non vai a correre?» mi sorride.
«Credo di essermi stancato troppo.»
Mi dà una pacca sulla pancia; siamo a letto, nudi sotto un lenzuolo bianco. Mi osserva per un poco con i suoi “occhi tondi” poi si alza trascinandosi dietro il lenzuolo per coprirsi e socchiude la finestra. «Dai, ti preparo la cheesecake così quando torni fai colazione con quella.»
Mi alzo, l’assiolo canta da qualche parte nel bosco, la pausa è durata meno del solito. Inizio a camminare: non c’è stata volta, in passato quando eravamo in città, in cui io sia andato a correre da solo.
“Ti faccio una cheesecake…” mi viene da pensare che il frigo è quasi vuoto e di sicuro non c’è mascarpone o formaggio spalmabile.
Prendo a correre, sui campi c’è impresso un giallo e un viola scuro come se la luce dell’ultimo tramonto vi fosse rimasta intrappolata.
“Ti faccio una…” Mi stava chiedendo di fermarla: era decisa a farlo e voleva che io la fermassi.
Supero l’acacia, entro in casa, salgo al piano di sopra e arrivo in camera. Colgo l’ultimo sussulto del piede prima della morte. Il lenzuolo cade giù da una trave e avvolge il collo di Jessica: lei fissa il soffitto e i suoi occhi sono spenti.
Mi precipito in avanti assordandomi con le mie urla, serrando i pugni e calciando via la sedia rovesciata. L’afferro per le gambe, la tiro su in modo che il lenzuolo non rimanga teso. E solo un attimo, una fiammata illumina la penombra in cui gli scuri socchiusi hanno gettato la stanza. Jessica respira di nuovo, tossisce e si dibatte: ha il viso congestionato da un rosso vivo. Lotta contro il lenzuolo attorno al collo mentre io continuo a tenerla sollevata e quando finalmente le riesce di liberarsi cadiamo entrambi sul letto.
«Cosa è successo?»
Io scuoto la testa incapace di rispondere, per me, in quel momento, conta solo tenerla stretta.
Lei piange, poi ricorda qualcosa e tra i sussulti afferra il suo telefono dal mobiletto accanto al letto. Mi mostra lo schermo e io vedo che la registrazione è ancora in corso.
«Scusami.»
«Non c’è bisogno: se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto nemmeno io.»
La bacio sulla fronte e la tengo stretta.
Penso al mio potere e mi accorgo che ogni volta è stato sempre più facile. Ora è come se fossi più allenato. Separo mentalmente ogni episodio e studio cosa accomuna i successi e cosa li differenzia dal mio unico fallimento. L’aver salvato Jessica mi porta all’unica conclusione possibile: tutti quelli che sono tornati indietro erano morti da poco, mio fratello è morto da anni.
È difficile credere a ciò che non si vede. Ora sento di avere la forza per fare quello che non si è mai visto.
«Scusami.»
«Non c’è bisogno: se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto nemmeno io.»
È una casetta situata in una zona pedemontana tra una serie di verdi ondulazioni che gareggiano una sull’altra in avvallamenti e monticcioli. In questo periodo gli ulivi hanno il fiore verdognolo, sui campi spruzzi di giallo e viola indicano distese di fiori selvatici. C’è un grosso albero di acacia che si affaccia sulla strada e alle finestre ci sono ancora gli scuri antichi per chiudere fuori la notte.
Un luogo perfetto che ho fatto di tutto per prendere in affitto a Pasqua. Da lì si può osservare la cima del monte bucare la foschia della sera, recuperare le forze dopo l’avventura con D.E.M. e riflettere ascoltando il canto dell’assiolo levarsi tra l’erba ricoperta di brina.
Ogni mattina faccio una corsetta, tre chilometri tutti in salita fino a una vecchia quercia dentro un boschetto. Mi fermo lì e mi sciacquo la faccia nel mormorio primaverile di un torrentello. Mi riposo venti minuti poi torno indietro camminando.
«Oggi non vai a correre?» mi sorride.
«Credo di essermi stancato troppo.»
Mi dà una pacca sulla pancia; siamo a letto, nudi sotto un lenzuolo bianco. Mi osserva per un poco con i suoi “occhi tondi” poi si alza trascinandosi dietro il lenzuolo per coprirsi e socchiude la finestra. «Dai, ti preparo la cheesecake così quando torni fai colazione con quella.»
Mi alzo, l’assiolo canta da qualche parte nel bosco, la pausa è durata meno del solito. Inizio a camminare: non c’è stata volta, in passato quando eravamo in città, in cui io sia andato a correre da solo.
“Ti faccio una cheesecake…” mi viene da pensare che il frigo è quasi vuoto e di sicuro non c’è mascarpone o formaggio spalmabile.
Prendo a correre, sui campi c’è impresso un giallo e un viola scuro come se la luce dell’ultimo tramonto vi fosse rimasta intrappolata.
“Ti faccio una…” Mi stava chiedendo di fermarla: era decisa a farlo e voleva che io la fermassi.
Supero l’acacia, entro in casa, salgo al piano di sopra e arrivo in camera. Colgo l’ultimo sussulto del piede prima della morte. Il lenzuolo cade giù da una trave e avvolge il collo di Jessica: lei fissa il soffitto e i suoi occhi sono spenti.
Mi precipito in avanti assordandomi con le mie urla, serrando i pugni e calciando via la sedia rovesciata. L’afferro per le gambe, la tiro su in modo che il lenzuolo non rimanga teso. E solo un attimo, una fiammata illumina la penombra in cui gli scuri socchiusi hanno gettato la stanza. Jessica respira di nuovo, tossisce e si dibatte: ha il viso congestionato da un rosso vivo. Lotta contro il lenzuolo attorno al collo mentre io continuo a tenerla sollevata e quando finalmente le riesce di liberarsi cadiamo entrambi sul letto.
«Cosa è successo?»
Io scuoto la testa incapace di rispondere, per me, in quel momento, conta solo tenerla stretta.
Lei piange, poi ricorda qualcosa e tra i sussulti afferra il suo telefono dal mobiletto accanto al letto. Mi mostra lo schermo e io vedo che la registrazione è ancora in corso.
«Scusami.»
«Non c’è bisogno: se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto nemmeno io.»
La bacio sulla fronte e la tengo stretta.
Penso al mio potere e mi accorgo che ogni volta è stato sempre più facile. Ora è come se fossi più allenato. Separo mentalmente ogni episodio e studio cosa accomuna i successi e cosa li differenzia dal mio unico fallimento. L’aver salvato Jessica mi porta all’unica conclusione possibile: tutti quelli che sono tornati indietro erano morti da poco, mio fratello è morto da anni.
È difficile credere a ciò che non si vede. Ora sento di avere la forza per fare quello che non si è mai visto.
martedì 22 aprile 2014
L'ultimo saluto
Un saluto a tutti voi è doveroso.
Dopo avervi parlato delle mie peripezie e angosce per tutto
questo tempo, è ora di girare i tacchi e andarsene da questo blog.
Più tempo passa e più comprendo che "confessare"
pubblicamente ciò che ci accade è fin troppo rischioso per noi quanto per quelli
che ci circondano e hanno deciso di mantenere l'anonimato.
Imparare a convivere coi propri poteri è certamente
difficile, soprattutto per chi trova impossibile trarne vantaggio, ma bisogna
perseverare e sforzarsi, io farò così d'ora in avanti.
Alla mia porta non ha ancora bussato nessuna organizzazione
in cerca di fenomeni da baraccone e lungi da me il volere una cosa del genere,
anche perché da quando Max ha scritto riguardo questo non l'ho più rivisto.
Siamo soli, "moriamo come tali", devo averlo
sentito in una canzone e ricordo di aver pensato "che stronzata, conterà
anche ciò che fai in vita,no?" No. Semplicemente qualunque cosa fai alla
fine ti ritroverai lì a dover affrontare la morte in primissima persona e non
ci sarà l'opzione "carica partita", a meno che non ci sia Lazzaro
nelle vicinanze, ovvio.
L'esperienza col mio dono mi ha lasciato strani segni nella
coscienza e forti dubbi sul concetto di giusto e sbagliato, per voi è lo
stesso? O sono solo io ad essere un individuo paranoico e poco sicuro di sé?
Sarebbe magnifico potervi ringraziare personalmente delle
esperienze che avete confidato qui e che mi hanno fatto crescere, ma sapete
anche voi dell'impossibilità che questo evento si realizzi, vorrei poter trovare
parole migliori, ma mi vengono in mente soltanto banalità come "grazie
mille" e spero vi siano sufficienti.
Ho dispensato consigli che reputavo utili, ma ognuno è
libero di fare ciò che più gli aggrada e quindi ora vi suggerisco di fare
sempre come volete; perché questo cambiamento? Semplice: più si sconsiglia una
cosa e più la si fa, stesso discorso per il concetto opposto.
Vi auguro il meglio in assoluto, possano le vostre vite
splendere nella luce e quelle degli altri riflettere positivamente il vostro
operato.
Stavo per dimenticarmi di dirvi come è andata a finire con
quelle persone a cui avevo tolto l'uso della parola: si sono riprese, tutte lo
stesso giorno.
Il mio segno ha una scadenza a lungo termine per ciò che
riguarda la parte attiva, almeno sembrerebbe così.
Lo sgomento di quegli
uomini, quando ripresero a parlare, fu inferiore al mio.
Rimasi a bocca aperta e il mio cuore accelerò così tanto che
pensai di dover correre all'ospedale, ma il mio corpo sembrò non voler obbedire
ai comandi e rimasi lì a osservare la saletta nella quale erano riuniti, con
sgomento.
Rilassato tornai a casa un'ora dopo e mi coricai, al mio
risveglio il TG locale non parlava d'altro se non di questo "miracolo di
primavera", addirittura c'era chi affermava che era stata un'escursione
verso il tempio di qualche santo a farlo guarire.
Almeno stavolta le menzogne propinate via etere erano
convinte e mosse dalla fede, a differenza della solita solfa dove vi è un
santone che afferma di poter guarire il prossimo facendoci sesso (credetemi,
più volte è successo in Italia e ogni volta si è OVVIAMENTE scoperto che era
solo un pazzo pervertito che sfruttava il credo a proprio vantaggio).
I super che conoscevo sono per lo più dispersi o risultano
trasferiti, un paio però sono tornati a casa e sembra che fossero partiti per
un progetto universitario.
Non credo che tutti gli altri siano fuori città per lo stesso
motivo e continuo a chiedermi se mai toccherà a me scomparire prima del tempo,
ma per adesso ho preso la decisione di andarmene lontano, MOLTO lontano e di
non scrivere mai più pubblicamente gli eventi della mia vita.
Mi siete molto cari e vorrei fare di più per voi, ma devo
pensare alla mia sopravvivenza.
Possano i miei consigli portarvi alle scelte più corrette.
Un ultimo saluto a tutti voi e sinceramente ... grazie.
giovedì 10 aprile 2014
Missione di salvataggio parte 2
«Sì, è ancora nella sua stanza.»
«Andiamo!»
Usciti dall’ufficio ci passano accanto due medici con i camici sbottonati che sciamano nel corridoio come fantasmi. Uno di loro getta un’occhiata di sfuggita, è la sola cosa che la sua premura gli consente e quando svoltiamo l’angolo sento D.E.M. che torna a respirare.
«È qui.» Dice la capo-sala: con la propria volontà annientata sembra una marionetta vuota.
Il corridoio si chiude più avanti; dal rettangolo di una finestra vedo una periferia sconosciuta.
Quando afferro la maniglia della stanza, la porta dei bagni lì accanto si apre e ne vengono fuori due carabinieri. Hanno ancora gocce d’acqua sulla faccia, il cappello in mano, gli occhi segnati.
«Non ha funzionato?»
«No. E non so perché.» Siamo sul letto, i vestiti infangati abbandonati in un angolo della stanza, sul tappeto, Zippiri guaisce nel sonno.
«Io… ti credo.» Nel buio sento la mano di Jessica andare in cerca della mia sopra le lenzuola. «Forse se… non lo so è assurdo…»
«Molte cose sono assurde ormai.»
Le mani s’incontrano. Le dita s’intrecciano.
«Il tuo potere ha bisogno di essere migliorato. U-u-usandolo. Esercitandolo.»”
«Scusate! Vorremmo salutare ancora il nostro collega.» Da quanto tempo siamo lì a fissarci?
Faccio un cenno d’assenso a D.E.M. poi dico: «Solo tre minuti poi dobbiamo…» Esito, mi tradisco, non mi viene nulla.
«Cambiare la salma. Sta arrivando la famiglia» dice D.E.M. e io lo ringrazio con uno sguardo. I due sono troppo affondati nel loro dolore per realizzare che a parlare sono stati sue O.S.S. che hanno le mani “sgombere” mentre in mezzo a loro sta la capo-sala come uno straccio dimenticato.
Entriamo. Uno dei carabinieri quasi si getta sul letto e piange, la divisa frusta non salva il suo contegno. L’altro sta in piedi e strizza gli occhi.
Ricordo la corsa tra le lapidi e la luce della torcia che traballa investendo la pioggia. Nella stanza d’ospedale scuoto la testa come per liberarmi dall’acqua sul viso. I carabinieri impiegano il tempo pattuito per il loro lutto e io vedo Jessica seduta sui gradini della chiesa in cimitero; piange e sussulta con le ginocchia strette al petto, le chiavi le sono cadute poco distante.
«Come procediamo?» chiede D.E.M. appena la porta si è chiusa.
«Pensi che lei possa ricordare se vede?»
«Non saprei, credo di no!»
«Falla sedere sull’altro letto, faccia alla finestra. Assicurati che non si volti.»
Mi avvicino al letto, la mia ombra cade sul corpo del morto.
«Siediti qui!» dice D.E.M alla capo-sala e voltandomi un attimo vedo che si piazza davanti a lei per osservare.
Spero di non tradire la sua fiducia, ha funzionato due volte: deve funzionare pure ora.
Fuori uno degli altri due scoppia a piangere senza controllo, mi volto di nuovo e vedo D.E.M in apprensione, il battito del cuore mi cresce nel petto, ho una bara aperta davanti agli occhi, un cane che dorme, una mano sulle lenzuola, Jessica che piange, pioggia che scroscia. Il mio braccio mi catapulta sul letto per afferrare quello del carabiniere. Devo stringere gli occhi mentre il segno s’illumina come crepe aperte sul terreno di un vulcano.
Lo sento passare… “La” sento passare, perché quella è vita che si trasferisce. È come se lo stessi richiamando indietro da un fosso mentre lui mi tira a sé. È un gioco di forza: l’ho capito in quel momento.
Apre gli occhi, butta fuori l’aria dai polmoni. Mi guarda sbattendo le palpebre e in quel momento D.E.M. mi tira via da lì. «Devi dimenticare tutto quello che è successo, non hai mai visto né me, né lui.» Mi indica affinché sia chiaro. Il carabiniere fa di sì con la testa. Disorientato, ma convinto.
Usciamo, quelli di fuori ci notano appena, ma D.E.M. si piazza loro davanti e ripete la frase, quando loro acconsentono a scordarsi di noi, mi guida verso un’uscita secondaria sul lato sud.
«Avranno una bella sorpresa!» Accenno alla folla di giornalisti che si accanisce attorno a un’auto appena arrivata.
D.E.M. mi sorride e io colgo tutto il suo sollievo. Gli poso una mano sulla spalla e sorrido di rimando
«Andiamo!»
Usciti dall’ufficio ci passano accanto due medici con i camici sbottonati che sciamano nel corridoio come fantasmi. Uno di loro getta un’occhiata di sfuggita, è la sola cosa che la sua premura gli consente e quando svoltiamo l’angolo sento D.E.M. che torna a respirare.
«È qui.» Dice la capo-sala: con la propria volontà annientata sembra una marionetta vuota.
Il corridoio si chiude più avanti; dal rettangolo di una finestra vedo una periferia sconosciuta.
Quando afferro la maniglia della stanza, la porta dei bagni lì accanto si apre e ne vengono fuori due carabinieri. Hanno ancora gocce d’acqua sulla faccia, il cappello in mano, gli occhi segnati.
«Non ha funzionato?»
«No. E non so perché.» Siamo sul letto, i vestiti infangati abbandonati in un angolo della stanza, sul tappeto, Zippiri guaisce nel sonno.
«Io… ti credo.» Nel buio sento la mano di Jessica andare in cerca della mia sopra le lenzuola. «Forse se… non lo so è assurdo…»
«Molte cose sono assurde ormai.»
Le mani s’incontrano. Le dita s’intrecciano.
«Il tuo potere ha bisogno di essere migliorato. U-u-usandolo. Esercitandolo.»”
«Scusate! Vorremmo salutare ancora il nostro collega.» Da quanto tempo siamo lì a fissarci?
Faccio un cenno d’assenso a D.E.M. poi dico: «Solo tre minuti poi dobbiamo…» Esito, mi tradisco, non mi viene nulla.
«Cambiare la salma. Sta arrivando la famiglia» dice D.E.M. e io lo ringrazio con uno sguardo. I due sono troppo affondati nel loro dolore per realizzare che a parlare sono stati sue O.S.S. che hanno le mani “sgombere” mentre in mezzo a loro sta la capo-sala come uno straccio dimenticato.
Entriamo. Uno dei carabinieri quasi si getta sul letto e piange, la divisa frusta non salva il suo contegno. L’altro sta in piedi e strizza gli occhi.
Ricordo la corsa tra le lapidi e la luce della torcia che traballa investendo la pioggia. Nella stanza d’ospedale scuoto la testa come per liberarmi dall’acqua sul viso. I carabinieri impiegano il tempo pattuito per il loro lutto e io vedo Jessica seduta sui gradini della chiesa in cimitero; piange e sussulta con le ginocchia strette al petto, le chiavi le sono cadute poco distante.
«Come procediamo?» chiede D.E.M. appena la porta si è chiusa.
«Pensi che lei possa ricordare se vede?»
«Non saprei, credo di no!»
«Falla sedere sull’altro letto, faccia alla finestra. Assicurati che non si volti.»
Mi avvicino al letto, la mia ombra cade sul corpo del morto.
«Siediti qui!» dice D.E.M alla capo-sala e voltandomi un attimo vedo che si piazza davanti a lei per osservare.
Spero di non tradire la sua fiducia, ha funzionato due volte: deve funzionare pure ora.
Fuori uno degli altri due scoppia a piangere senza controllo, mi volto di nuovo e vedo D.E.M in apprensione, il battito del cuore mi cresce nel petto, ho una bara aperta davanti agli occhi, un cane che dorme, una mano sulle lenzuola, Jessica che piange, pioggia che scroscia. Il mio braccio mi catapulta sul letto per afferrare quello del carabiniere. Devo stringere gli occhi mentre il segno s’illumina come crepe aperte sul terreno di un vulcano.
Lo sento passare… “La” sento passare, perché quella è vita che si trasferisce. È come se lo stessi richiamando indietro da un fosso mentre lui mi tira a sé. È un gioco di forza: l’ho capito in quel momento.
Apre gli occhi, butta fuori l’aria dai polmoni. Mi guarda sbattendo le palpebre e in quel momento D.E.M. mi tira via da lì. «Devi dimenticare tutto quello che è successo, non hai mai visto né me, né lui.» Mi indica affinché sia chiaro. Il carabiniere fa di sì con la testa. Disorientato, ma convinto.
Usciamo, quelli di fuori ci notano appena, ma D.E.M. si piazza loro davanti e ripete la frase, quando loro acconsentono a scordarsi di noi, mi guida verso un’uscita secondaria sul lato sud.
«Avranno una bella sorpresa!» Accenno alla folla di giornalisti che si accanisce attorno a un’auto appena arrivata.
D.E.M. mi sorride e io colgo tutto il suo sollievo. Gli poso una mano sulla spalla e sorrido di rimando
lunedì 7 aprile 2014
Il Segreto Negato
Nel rileggere i post precedenti, mi vedo costretto a riflettere in modo critico e cosciente sul caos che è stata la mia vita nell'ultimo mese. Ho avuto a lungo paura di non riuscire a capire, di non potere controllare il cambiamento che il segno ha portato con sé, di non essere più padrone di me stesso. Questa notte ha portato finalmente la fine dell'angoscia e il senso degli ultimi avvenimenti.
Ho abitato le loro vite per più di tre settimane, costretto ad essere un voyeur cosmico, scelto da un'entità alla ricerca di vendetta. E' una strana sensazione studiarli mentre si confrontano con il loro lutto, esamino i loro occhi alla ricerca di una pallida ombra di disperazione, cerco il pentimento riflesso anche in una singola lacrima, vorrei credere che la perdita subita serva a guadagnare due anime in contraccambio. Ma la verità è che guardando nell'abisso del loro qualunquismo, anch'esso mi guarda, deridendomi. Il risveglio mattutino, il caffè, il bacio prima di uscire: a volte lui le dà un passaggio fino alla scuola dove lei lavora, in segreteria; poi raggiunge i suoi colleghi al bar, un altro caffè, quattro battute, sorrisi dispensati come biglietti da dieci euro in un casinò. Al ritorno a casa, una cena serena, un film, lui che si addormenta sul divano, lei che finisce di sparecchiare. Poi a letto (hanno fatto l'amore sei volte in tutto, decisamente al di sotto della media nazionale, ma al di sopra del normale per due genitori che hanno perso per sempre il loro unico figlio a seguito di un presunto incidente domestico).
Accanto a me, Luca li guarda senza parlare, pulendosi ogni tanto il sangue che continua ininterrottamente a scendere dalla ferita fra i corti capelli ramati, pensando all'inutilità della sua morte, a come tutte le morti siano inutili, specie quelle provocate: e aspettando che io sia pronto. E' inquietante la sua presenza accanto a me, in qualunque momento della giornata e ogni tanto penso che così doveva sentirsi il bambino protagonista del film “Il Sesto Senso”. Anche se loro non parlano con me, si limitano a comunicarmi sensazioni, con forza.
Era da un po' che riflettevo su cosa fare, ma stasera ho preso il coraggio a quattro mani e ho suonato il campanello. Mi ha aperto lui, il padre. “Desidera?”. Il mio cuore ha perso un paio di battiti: “Il padre di Luca?”. Era stupito, non poteva conoscermi, e sono convinto che questo lo rendesse confuso e preoccupato.
“Sì. E lei, chi è?”. La donna è uscita dalla cucina ed è venuta vicino al compagno, stringendosi alle sue spalle.
“Conoscevo Luca. Le porto un messaggio, da parte sua”. Senza nemmeno attendere una reazione, tocco le loro mani, e la scossa che mi attraversa è ancora più forte di quanto mi aspettassi. Un grido di accusa esce dalle mie labbra, mescolato alle pene di un'anima lontana dalla luce, pura energia che avvolge i due amanti assassini, colpevoli di aver posto fine all'innocenza di un bambino, libero da sovrastrutture e falsità, desideroso solo di essere amato dai propri genitori.
Alla fine, i loro occhi sono pozze di petrolio affacciate sul nulla, i loro spiriti costretti a confrontarsi con un peccato più grande. Vorrei condannarli, e in fondo al cuore spero che abbiano il coraggio di tagliare il filo che li lega al mio mondo. Eppure non lo faccio, agisco con spontaneità, toccando di nuovo le loro anime, e trasmettendogli, adesso, un sentimento diverso: compassione, perdono, speranza. L'oscurità è andata via, sta a loro scegliere di essere diversi. Io mi allontano, avendo finalmente compreso il senso del mio potere, in cosa consista veramente, scoprendo quale sia il segreto che fin'ora non ho mai avuto il coraggio di accettare: che il mio corpo è solo un involucro vuoto, privo di vita autonoma, che ora e per sempre io sono soltanto “La Soglia”.
Ho abitato le loro vite per più di tre settimane, costretto ad essere un voyeur cosmico, scelto da un'entità alla ricerca di vendetta. E' una strana sensazione studiarli mentre si confrontano con il loro lutto, esamino i loro occhi alla ricerca di una pallida ombra di disperazione, cerco il pentimento riflesso anche in una singola lacrima, vorrei credere che la perdita subita serva a guadagnare due anime in contraccambio. Ma la verità è che guardando nell'abisso del loro qualunquismo, anch'esso mi guarda, deridendomi. Il risveglio mattutino, il caffè, il bacio prima di uscire: a volte lui le dà un passaggio fino alla scuola dove lei lavora, in segreteria; poi raggiunge i suoi colleghi al bar, un altro caffè, quattro battute, sorrisi dispensati come biglietti da dieci euro in un casinò. Al ritorno a casa, una cena serena, un film, lui che si addormenta sul divano, lei che finisce di sparecchiare. Poi a letto (hanno fatto l'amore sei volte in tutto, decisamente al di sotto della media nazionale, ma al di sopra del normale per due genitori che hanno perso per sempre il loro unico figlio a seguito di un presunto incidente domestico).
Accanto a me, Luca li guarda senza parlare, pulendosi ogni tanto il sangue che continua ininterrottamente a scendere dalla ferita fra i corti capelli ramati, pensando all'inutilità della sua morte, a come tutte le morti siano inutili, specie quelle provocate: e aspettando che io sia pronto. E' inquietante la sua presenza accanto a me, in qualunque momento della giornata e ogni tanto penso che così doveva sentirsi il bambino protagonista del film “Il Sesto Senso”. Anche se loro non parlano con me, si limitano a comunicarmi sensazioni, con forza.
Era da un po' che riflettevo su cosa fare, ma stasera ho preso il coraggio a quattro mani e ho suonato il campanello. Mi ha aperto lui, il padre. “Desidera?”. Il mio cuore ha perso un paio di battiti: “Il padre di Luca?”. Era stupito, non poteva conoscermi, e sono convinto che questo lo rendesse confuso e preoccupato.
“Sì. E lei, chi è?”. La donna è uscita dalla cucina ed è venuta vicino al compagno, stringendosi alle sue spalle.
“Conoscevo Luca. Le porto un messaggio, da parte sua”. Senza nemmeno attendere una reazione, tocco le loro mani, e la scossa che mi attraversa è ancora più forte di quanto mi aspettassi. Un grido di accusa esce dalle mie labbra, mescolato alle pene di un'anima lontana dalla luce, pura energia che avvolge i due amanti assassini, colpevoli di aver posto fine all'innocenza di un bambino, libero da sovrastrutture e falsità, desideroso solo di essere amato dai propri genitori.
Alla fine, i loro occhi sono pozze di petrolio affacciate sul nulla, i loro spiriti costretti a confrontarsi con un peccato più grande. Vorrei condannarli, e in fondo al cuore spero che abbiano il coraggio di tagliare il filo che li lega al mio mondo. Eppure non lo faccio, agisco con spontaneità, toccando di nuovo le loro anime, e trasmettendogli, adesso, un sentimento diverso: compassione, perdono, speranza. L'oscurità è andata via, sta a loro scegliere di essere diversi. Io mi allontano, avendo finalmente compreso il senso del mio potere, in cosa consista veramente, scoprendo quale sia il segreto che fin'ora non ho mai avuto il coraggio di accettare: che il mio corpo è solo un involucro vuoto, privo di vita autonoma, che ora e per sempre io sono soltanto “La Soglia”.
mercoledì 2 aprile 2014
MIssione compiuta. Avanti la prossima!
Dopo quanto mi è accaduto con i vicini di casa avevo quasi deciso di sparire da questo blog.
Ho poi optato per un più salutare trasloco. Anche se star lontano dal verde non mi fa guarire dai miei poteri. Questo è l’ennesimo handicap della mia situazione. Stare tra il cemento mi fa ingrigire, sia d’umore che nel colore della pelle. Ho comunque lasciato il mio paesino natale per scendere in città. Se solo Max avesse fatto altrettanto! Anzi lo consiglio a tutti. Trasferitevi dove nessuno vi conosce.
O forse dovremmo incontrarci, non solo virtualmente ma fisicamente. Vederci dal vivo oltre a tirarci su di morale ci permetterebbe di organizzarci meglio. Fino alla sparizione di Max il suo “sodalizio” con Portatore era positivo. Cosi pure quello tra DEM e Lazzaro. O almeno spero. Cosa aspettate a farci sapere come ve la siete cavata?
Per ora ho trovato un gradevole condominio che affaccia su un parco. Quartiere tranquillo, tanti anziani, pochi ragazzi. In un colpo solo mi son liberato di occhi indiscreti e sostanze stupefacenti.
E ho pure trovato lavoro, mi ero dimenticato di dirlo anche se ne parlavo nell’ultimo intervento. Lavoro in una casa protetta. L’ospite tipo proviene da OPG. La maggior parte sono pazzi omicida. Un giorno tentano di accoltellarti, il giorno dopo provano la fuga scavalcando le mura. Niente di meglio per sfruttare i miei poteri indisturbato.
Strano. Io che ero tra i più pessimisti del gruppo finalmente me la passo bene. E proprio nel momento in cui molti stanno avendo difficoltà.
Per certo quanto mi è accaduto ieri mi ha dato una spinta positiva.
Gianni, un nuovo ospite, arrivato imbottito di sonniferi dall’OPG. Un omone di due metri per due. Si sveglia particolarmente agitato. E intendo dire che lancia sedie e tavoli. Già tre miei colleghi erano stati accompagnati in infermeria con qualcosa di rotto.
Mentre io e Salvo schiviamo l’ennesima poltrona la porta blindata del reparto viene aperta da Marzio, l’infermiere incaricato di somministrare una dose da cavallo di tranquillante al nostro amico.
Un istante di distrazione. Fatale.
Vengo scaraventato contro la parete. L’aria mi schizza fuori dai polmoni.
Qualcosa si è rotto, ne sono certo. Ma non ho tempo per pensarci. Gianni è fuori dal Reparto Protetto. O ammazza qualcuno o fugge… o entrambe le cose.
Mi alzo ma la gamba destra non mi segue. Inspiro e una fitta mi toglie il fiato. Sputo sangue. I miei compagni sono a terra. Inerti.
Mi trascino fuori dalla stanza. Grazie al cielo la direttrice ama le piante ornamentali e ne ha disseminate dozzine.
Un bel ficus rigoglioso è proprio oltre la soglia.
“Un ultimo sforzo” penso e a fatica raggiungo il tronco. Ed è subito estasi. Sento le ossa ricompattarsi, i polmoni svuotarsi di sangue. Mi alzo. La chioma è molto meno folta.
“Ero messo peggio di quanto pensassi”.
Trascino fuori i colleghi e chiudo la porta. Meglio evitare che altri pazienti lascino il reparto. Alcuni di loro mi guardano sgranando gli occhi.
Hanno visto? Poco importa è la loro parola contro la mia, non corro rischi.
Mi getto all’inseguimento del fuggitivo. È facile seguirne le tracce: una porta scardinata, una finestra in frantumi.
Esco e incontro Daniele.
«Ha scavalcato il cancello, si è buttato nel bosco.»
“Perfetto”
«Dani, prendi la macchina e fai il giro per vedere se sbuca dall’altro lato, io provo a seguirlo.»
Mi guarda perplesso ma esegue.
La boscaglia non è troppo fitta e la fanghiglia dell’ultima pioggia rallenta la fuga del bestione. Lo vedo che arranca zoppicando a meno di cento metri da me. Si appoggia per riprendere fiato ad una grossa quercia.
“Concentrati. Come hai fatto quella sera?”
«Quercia fermalo!» grido.
Immagino di vedersi sollevare una radice a bloccargli la gamba e un ramo calare con vigore sulla sua testa per tramortirlo.
E così accade.
Nessuno collega ha visto nulla. L’energumeno è stato recuperato.
Missione compiuta. Avanti la prossima!
Ho poi optato per un più salutare trasloco. Anche se star lontano dal verde non mi fa guarire dai miei poteri. Questo è l’ennesimo handicap della mia situazione. Stare tra il cemento mi fa ingrigire, sia d’umore che nel colore della pelle. Ho comunque lasciato il mio paesino natale per scendere in città. Se solo Max avesse fatto altrettanto! Anzi lo consiglio a tutti. Trasferitevi dove nessuno vi conosce.
O forse dovremmo incontrarci, non solo virtualmente ma fisicamente. Vederci dal vivo oltre a tirarci su di morale ci permetterebbe di organizzarci meglio. Fino alla sparizione di Max il suo “sodalizio” con Portatore era positivo. Cosi pure quello tra DEM e Lazzaro. O almeno spero. Cosa aspettate a farci sapere come ve la siete cavata?
Per ora ho trovato un gradevole condominio che affaccia su un parco. Quartiere tranquillo, tanti anziani, pochi ragazzi. In un colpo solo mi son liberato di occhi indiscreti e sostanze stupefacenti.
E ho pure trovato lavoro, mi ero dimenticato di dirlo anche se ne parlavo nell’ultimo intervento. Lavoro in una casa protetta. L’ospite tipo proviene da OPG. La maggior parte sono pazzi omicida. Un giorno tentano di accoltellarti, il giorno dopo provano la fuga scavalcando le mura. Niente di meglio per sfruttare i miei poteri indisturbato.
Strano. Io che ero tra i più pessimisti del gruppo finalmente me la passo bene. E proprio nel momento in cui molti stanno avendo difficoltà.
Per certo quanto mi è accaduto ieri mi ha dato una spinta positiva.
Gianni, un nuovo ospite, arrivato imbottito di sonniferi dall’OPG. Un omone di due metri per due. Si sveglia particolarmente agitato. E intendo dire che lancia sedie e tavoli. Già tre miei colleghi erano stati accompagnati in infermeria con qualcosa di rotto.
Mentre io e Salvo schiviamo l’ennesima poltrona la porta blindata del reparto viene aperta da Marzio, l’infermiere incaricato di somministrare una dose da cavallo di tranquillante al nostro amico.
Un istante di distrazione. Fatale.
Vengo scaraventato contro la parete. L’aria mi schizza fuori dai polmoni.
Qualcosa si è rotto, ne sono certo. Ma non ho tempo per pensarci. Gianni è fuori dal Reparto Protetto. O ammazza qualcuno o fugge… o entrambe le cose.
Mi alzo ma la gamba destra non mi segue. Inspiro e una fitta mi toglie il fiato. Sputo sangue. I miei compagni sono a terra. Inerti.
Mi trascino fuori dalla stanza. Grazie al cielo la direttrice ama le piante ornamentali e ne ha disseminate dozzine.
Un bel ficus rigoglioso è proprio oltre la soglia.
“Un ultimo sforzo” penso e a fatica raggiungo il tronco. Ed è subito estasi. Sento le ossa ricompattarsi, i polmoni svuotarsi di sangue. Mi alzo. La chioma è molto meno folta.
“Ero messo peggio di quanto pensassi”.
Trascino fuori i colleghi e chiudo la porta. Meglio evitare che altri pazienti lascino il reparto. Alcuni di loro mi guardano sgranando gli occhi.
Hanno visto? Poco importa è la loro parola contro la mia, non corro rischi.
Mi getto all’inseguimento del fuggitivo. È facile seguirne le tracce: una porta scardinata, una finestra in frantumi.
Esco e incontro Daniele.
«Ha scavalcato il cancello, si è buttato nel bosco.»
“Perfetto”
«Dani, prendi la macchina e fai il giro per vedere se sbuca dall’altro lato, io provo a seguirlo.»
Mi guarda perplesso ma esegue.
La boscaglia non è troppo fitta e la fanghiglia dell’ultima pioggia rallenta la fuga del bestione. Lo vedo che arranca zoppicando a meno di cento metri da me. Si appoggia per riprendere fiato ad una grossa quercia.
“Concentrati. Come hai fatto quella sera?”
«Quercia fermalo!» grido.
Immagino di vedersi sollevare una radice a bloccargli la gamba e un ramo calare con vigore sulla sua testa per tramortirlo.
E così accade.
Nessuno collega ha visto nulla. L’energumeno è stato recuperato.
Missione compiuta. Avanti la prossima!
lunedì 31 marzo 2014
Missione di salvataggio
Il primo incontro con
Lazzaro è stato imbarazzante. È riuscito a mettersi in contatto con me, così
sono andato a prenderlo all’aeroporto. A causa della mia paranoia, l’ho costretto
a dover imparare una serie di segnali in codice e parole d’ordine, e solo
quando siamo arrivati alla mia macchina ci siamo mostrati i nostri rispettivi
segni. «Piacere, D.E.M.» faccio io.
«Piacere, Lazzaro.»
risponde lui. Ci stringiamo la mano con calore.
Entriamo in auto «Prima
di tutto ti ringrazio ancora per aver risposto al mio appello, e ti chiedo
mille volte scusa per averti trascinato fin qui a risolvere i miei casini.»
dico.
Lui nicchia: «È sempre
un piacere aiutare gli altri.»
Ho letto il post che ha
mandato prima di partire: vorrei fargli delle domande, chiedergli come sta, chi
voleva salvare, ma un senso di pudore mi inibisce. Per fortuna è lui a spezzare
il momento di silenzio: «Da quanto hai scritto il carabiniere dovrebbe essere
ancora vivo. Lo sai, vero, che il mio potere funziona solo su chi è morto?»
Sospiro. «Lo so, ma non
sapevo a che santo votarmi. Hai letto il mio post, sai che casino ho combinato.
Sono stato preso dal panico, è un miracolo che non sia svenuto lì. Onestamente
non so come ci dovremmo comportare quando entreremo nella sua stanza.»
«Qualcosa ci
inventeremo.» risponde lui, cercando di tranquillizzarmi. «Sai dove lo tengono?»
«Per fortuna è qui
vicino, in Ancona, all’ospedale regionale. Però c’è un problema.»
«Quale?»
«All’inizio non era
stato fatto trapelare nulla, per salvare la sua copertura, ragion per cui ho
dovuto usare il mio potere per rintracciarlo. Poi però qualcuno, l’altro giorno,
ha parlato e l’ospedale si è riempito di giornalisti.»
«Un bel problema. Cosa
pensi di fare, ora?»
Gli spiego il mio
piano. Per fortuna, avevo avuto modo di girare l’ospedale andando a fare visita
a un conoscente ricoverato, quindi so più o meno come muovermi all’interno.
Finisco la spiegazione.
«È abbastanza rischioso.» fa lui.
«Lo so, ma è il meglio
che sono riuscito a escogitare. Se hai un’idea migliore sono tutt’orecchi.»
«Non saprei da che
parte cominciare.» confessa.
«Siamo d’accordo
allora.» rispondo io accendendo la macchina «Propongo di andare subito.»
«Ok.»
Entriamo mescolandoci
col flusso continuo di visitatori; per fortuna l’atrio è molto grande e
dispersivo. Arriviamo agli ascensori senza problemi, dribblando anche un paio
di teleoperatori della RAI che stanno prendendo un caffè da una macchinetta, e
ci ritroviamo nel reparto di rianimazione rimanendo praticamente anonimi. Apro
la porta antipanico e dò un’occhiata: l’orario di visita è quasi finito, ma ci
sono ancora diverse persone oltre il personale ospedaliero. Cerchiamo un bagno.
Entriamo e apro la borsa che ho portato con me: dentro ci sono due divise da
O.S.S. «Spero che ti stia bene.» faccio a Lazzaro «Mi sono dimenticato di
chiederti la taglia.»
«Non fa niente.»
risponde lui, e lo ripete anche quando scopriamo che la sua gli sta larga.
Usciamo, cercando di rimanere disinvolti e iniziamo a cercare la capo-sala.
Giriamo un angolo e a momenti mi viene un colpo. «Che c’è?» chiede Lazzaro. Lo
spingo dentro uno sgabuzzino. Poco dopo, un tizio con gli occhiali ci supera
senza accorgersi di noi «Quello lo conosco, fa il giornalista.» spiego a
Lazzaro «Se mi avesse visto…»
Continuiamo a cercare l’ufficio
della capo-sala. Per fortuna la troviamo, ed è anche sola.
«Voi chi siete?» chiede
lei. Lazzaro chiude la porta, io invece le ordino: «Portaci dal carabiniere
ferito. Se te lo chiedono, rispondi che è solo un controllo di routine.»
«Il carabiniere ferito
è morto dieci minuti fa.» risponde meccanicamente la donna «Sono andati a
chiamare la famiglia.»
Panico. Lazzaro si
piazza davanti a me e chiede alla donna: «È ancora nella sua stanza?»
Lei non risponde. «Chiediglielo
tu.» mi fa Lazzaro. Non reagisco. Allora mi strattona «D.E.M.! Svegliati!»
«OK, ti ordino di
rispondergli, anzi, d’ora in poi sarà lui a darti ordini.»
Ora è tutto nelle mani
del mio socio.
venerdì 28 marzo 2014
Preoccupazioni fondate
Se Max non avesse scritto dove era andato a finire, io mi
sarei preoccupato seriamente.
Già qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio che mi diceva
di non cercarlo, poi ho letto dei post di voi dove siete capitati in situazioni
spinose, infine la comunità di super intorno al mio quartiere sembra essere
scomparsa.
All'ospedale non c'era più nessuno, a casa di Steel non ho
ottenuto risposte e la sua famiglia sembrava essersi trasferita da poco, spero
non stiano facendo esperimenti su di lui e che sia riuscito a sfruttare al
meglio le sue potenzialità.
Forse il mio sangue
lo ha aiutato o forse no, ma a me piace pensare positivo e credere che abbiamo
apportato un bagliore di luce nelle nostre vite, reciprocamente.
Vi date da fare tutti per gestire i vostri talenti al
meglio, però fate più attenzione, soprattutto Lazzaro.
Io capisco il tuo desiderio di riportare indietro chi non ha
meritato la propria morte, ma disturbare i defunti è una scelta che porta gravose
conseguenze; se all'improvviso iniziassero a girare persone date per morte, la
gente comincerebbe a fare domande o ancor peggio ... tratterebbe i redivivi
come dei mostri.
Ho letto sul giornale di quel tizio a Roma che si è
svegliato durante il suo funerale, sei stato te? In ogni caso ho un'idea,
seppur strampalata di come potresti provare a usare il tuo potere.
Io ho scoperto, senza volerlo, di avere una parte attiva che
blocca il funzionamento delle cose/poteri/organi e se tu ne avessi una simile
per "portare in vita" ciò che io blocco? In fondo il tuo potenziale
non è del tutto scoperto, un tentativo sarebbe interessante.
Non so se ricordate le persone a cui ho bloccato l'uso della
voce, ultimamente ho scoperto che versano ancora in quello stato ed è diventato
un caso di studio; fin troppi laringoiatri e professionisti del settore si sono
trasferiti qui per convegni e visite specialistiche, vorrei che Lazzaro venisse
a tentare di sbloccarli, poiché nessuna medicina sembra fare effetto e io non
ho la capacità di invertire il mio segno.
Deus EX Machina, un carabiniere sotto copertura in mezzo a
quella gentaccia? Felice che tu l'abbia salvato, ma magari digli di
dimenticarsi il tuo volto, in quel momento capisco l'agitazione e il fatto che
te ne sei scappato via senza pensare, ma è molto importante che tu dia quel
comando.
Direi che, per ora, dovresti un attimo tenere un basso
profilo e nasconderti per un po', magari lontano da dove vivi normalmente,
contattami in privato e ti dirò dove alloggiare da queste parti, credimi ...
viviamo parecchio distanti e qui non ti conoscerebbe nessuno, valuta tu la
proposta.
La soglia, ti do il benvenuto tra di noi, potere senza
dubbio interessante il tuo, ma non ho ancora ben capito come funziona, sei tipo
il bambino di "Il sesto senso"? Non ti sto offendendo, è solo per
capire.
Se scrivo questo post è per dirvi di badare bene a usare i
vostri talenti, perché qui quelli che conoscevo sono stati prelevati da
qualcuno (probabilmente gli stessi che hanno preso Max Steel), e di certo io
non considero un bene lo sparire nel nulla da un giorno all'altro.
Per ora sembra che mi sia salvato, credo perché non abbia
più fatto uso dei miei doni, ma chissà se QUANDO succederà ci sarà qualcuno
pronto a stordirmi con un taser, sono pressoché certo che si verificherà un
evento simile, lo percepisco dentro di me; noi umani abbiamo un innato istinto
di sopravvivenza, i libri che ne parlano hanno pienamente ragione.
Godetevi la vostra esistenza, aiutate il prossimo, ma ...
con discrezione, non tutti ci accoglierebbero nelle loro case se sapessero ciò
di cui siamo capaci.
mercoledì 26 marzo 2014
La Luce dei Defunti
Sono molto più emozionato, che spaventato. Ho passato gli ultimi giorni a sperimentare i miei poteri, e oggi sto provando qualcosa di completamente nuovo. Sembra che sia diventato una sorta di trasmettitore per le anime dei morti.
Computer e webcam accesi, riprendo ogni cosa, in una sorta di folle diario, senza sapere se avrò mai voglia di mostrarlo a qualcuno. Prima inizio con i qualcosa di facile, nonni, zii... Niente. Poi un amico, morto a causa di un incidente d'auto, qualche anno prima. Appare di fronte a me, guardandomi con aria di rimprovero. Chi viene da me sembra voglia farlo per un motivo.
Mi concentro su una porta che si apre, come il nome che mi sono scelto, e aspetto. Di lì a breve vedo un volto, un bambino. Avrà circa sette anni, i capelli neri, lo sguardo spaventato. Le mani gli tremano. Gli dico di non andarsene, di avvicinarsi e dirmi cosa vuole. Apro gli occhi e sono di nuovo nella stanza, con la luce azzurrina del portatile che illumina entrambi. Tendo la mano verso quell'anima e al momento del contatto vedo una grande casa. Sono ai piedi delle scale e osservo un uomo scenderle con passo lento e soddisfatto. La mano destra è sporca di sangue, sulle nocche, ma lui non sembra preoccuparsene. Non mi vede, anzi, mi passa attraverso, come se il fantasma fossi io. Il bambino è accanto a me, adesso sento chiaramente la sua voce nella mia testa: “Lo fa da sempre...”. “Cosa?”, chiedo, ma so che è una domanda retorica. “Quello che pensi. Va avanti da quando avevo 4 anni. Non riuscivo a credere che mio padre potesse fare una cosa del genere... I padri dovrebbero voler bene ai figli, non è vero?”. La domanda resta sospesa nell'aria, e io non so cosa rispondere. Qualunque cosa sarebbe sciocca a dirsi. “Dov'è tua madre”, invece gli chiedo. “Lei non c'è mai, quando succede. Ho provato a dirglielo, ma lei mi ha detto di smetterla di dire bugie, che le ferite sul viso, sulla schiena, sulle gambe, me le procuro da solo. Perchè sono geloso che lei abbia trovato un uomo così disponibile ad occuparsi di una ragazza madre, senza chiedere niente in cambio. Cerco di metterla contro di lui, perchè sono egoista... Mi urla contro ed io piango”. “Cosa vuoi da me?”, gli chiedo. “Voglio darti qualcosa... Questo”, e apre la mano. Vedo una luce brillare come il sole, e ripenso ad un vecchio libro, letto parecchi anni prima. “La luce dei defunti”, diceva l'autore. Ma a me sembra qualcosa di differente, è ipnotica, possiede una energia che non riesco a spiegare. E' il suo dono, mi dice quasi implorante. Fatico a tenerla, mi fa paura, eppure non riesco a fare a meno di sentire il suo canto. “Sembra la voce di Dio”, dico con un fil di voce, e la scena cambia quasi subitaneamente. Il mio studio, ancora il mio computer con la telecamera che riprende, mentre adesso quella luce irradia tutto il mio corpo e sembra urlarmi tutto il dolore che quell'anima ha provato in quegli anni, le ossa spezzate, le labbra livide... Nessuno che lo abbia mai ascoltato, nessuno che ne abbia avuto pietà.
Non riesco a fare a meno di piangere, e fra le lacrime, l'occhio cade su un articolo di giornale, un trafiletto, una storia, minuscola come il suo protagonista: “Muore cadendo dalle scale. Si chiama Luca il piccolo che inavvertitamente, ieri notte è precipitato dalle scale, mentre scendeva in cucina per bere un bicchiere d'acqua. I genitori lo hanno ritrovato il giorno dopo, con il collo spezzato ed il volto tumefatto. Al momento la polizia ritiene che si tratti di un incidente domestico”.
La polizia ha ragione, bisogna cercare la soluzione più semplice. La legge deve pensare ai vivi, non può risolvere i problemi dei morti. Quello spetta a me. Leggo l'indirizzo, guardo le foto sul giornale. Devo controllare, studierò le mie prede, non lascerò nulla al caso. E fra qualche giorno saprete cosa ho deciso: saprete quanto oltre “La Soglia” sceglierò di spingermi.
Computer e webcam accesi, riprendo ogni cosa, in una sorta di folle diario, senza sapere se avrò mai voglia di mostrarlo a qualcuno. Prima inizio con i qualcosa di facile, nonni, zii... Niente. Poi un amico, morto a causa di un incidente d'auto, qualche anno prima. Appare di fronte a me, guardandomi con aria di rimprovero. Chi viene da me sembra voglia farlo per un motivo.
Mi concentro su una porta che si apre, come il nome che mi sono scelto, e aspetto. Di lì a breve vedo un volto, un bambino. Avrà circa sette anni, i capelli neri, lo sguardo spaventato. Le mani gli tremano. Gli dico di non andarsene, di avvicinarsi e dirmi cosa vuole. Apro gli occhi e sono di nuovo nella stanza, con la luce azzurrina del portatile che illumina entrambi. Tendo la mano verso quell'anima e al momento del contatto vedo una grande casa. Sono ai piedi delle scale e osservo un uomo scenderle con passo lento e soddisfatto. La mano destra è sporca di sangue, sulle nocche, ma lui non sembra preoccuparsene. Non mi vede, anzi, mi passa attraverso, come se il fantasma fossi io. Il bambino è accanto a me, adesso sento chiaramente la sua voce nella mia testa: “Lo fa da sempre...”. “Cosa?”, chiedo, ma so che è una domanda retorica. “Quello che pensi. Va avanti da quando avevo 4 anni. Non riuscivo a credere che mio padre potesse fare una cosa del genere... I padri dovrebbero voler bene ai figli, non è vero?”. La domanda resta sospesa nell'aria, e io non so cosa rispondere. Qualunque cosa sarebbe sciocca a dirsi. “Dov'è tua madre”, invece gli chiedo. “Lei non c'è mai, quando succede. Ho provato a dirglielo, ma lei mi ha detto di smetterla di dire bugie, che le ferite sul viso, sulla schiena, sulle gambe, me le procuro da solo. Perchè sono geloso che lei abbia trovato un uomo così disponibile ad occuparsi di una ragazza madre, senza chiedere niente in cambio. Cerco di metterla contro di lui, perchè sono egoista... Mi urla contro ed io piango”. “Cosa vuoi da me?”, gli chiedo. “Voglio darti qualcosa... Questo”, e apre la mano. Vedo una luce brillare come il sole, e ripenso ad un vecchio libro, letto parecchi anni prima. “La luce dei defunti”, diceva l'autore. Ma a me sembra qualcosa di differente, è ipnotica, possiede una energia che non riesco a spiegare. E' il suo dono, mi dice quasi implorante. Fatico a tenerla, mi fa paura, eppure non riesco a fare a meno di sentire il suo canto. “Sembra la voce di Dio”, dico con un fil di voce, e la scena cambia quasi subitaneamente. Il mio studio, ancora il mio computer con la telecamera che riprende, mentre adesso quella luce irradia tutto il mio corpo e sembra urlarmi tutto il dolore che quell'anima ha provato in quegli anni, le ossa spezzate, le labbra livide... Nessuno che lo abbia mai ascoltato, nessuno che ne abbia avuto pietà.
Non riesco a fare a meno di piangere, e fra le lacrime, l'occhio cade su un articolo di giornale, un trafiletto, una storia, minuscola come il suo protagonista: “Muore cadendo dalle scale. Si chiama Luca il piccolo che inavvertitamente, ieri notte è precipitato dalle scale, mentre scendeva in cucina per bere un bicchiere d'acqua. I genitori lo hanno ritrovato il giorno dopo, con il collo spezzato ed il volto tumefatto. Al momento la polizia ritiene che si tratti di un incidente domestico”.
La polizia ha ragione, bisogna cercare la soluzione più semplice. La legge deve pensare ai vivi, non può risolvere i problemi dei morti. Quello spetta a me. Leggo l'indirizzo, guardo le foto sul giornale. Devo controllare, studierò le mie prede, non lascerò nulla al caso. E fra qualche giorno saprete cosa ho deciso: saprete quanto oltre “La Soglia” sceglierò di spingermi.
martedì 25 marzo 2014
LA PROVA
Quando Puffo e io apriamo la porta del garage, ci travolge una
zaffata aspra e marcia.
«Te lo dicevo che non lo uso mai,» si scusa Puffo.
«Dio santo, ci nascondi i cadaveri?» esclamo col naso tappato.
«Scusate, Vostra Altezza!»
Prima di farla pagare a Katia, ho pensato, devo trovare un luogo dove
sperimentare il mio potere, non posso andare da lei rischiando di
evocare di nuovo il leone. È vero che mi sta sulle palle, ma da lì
a bruciarla viva c’è un bel salto. Così Puffo mi ha detto di quel
garage sempre vuoto – lui la macchina non ce l’ha, la
proprietaria di casa abita sui colli e non andrà certo a riporre
l'auto lì.
«Pensavo,» continua Puffo, «che potremmo comprare degli estintori,
ne ho visti alcuni piccoli da quindici euro!»
«Grazie che mi aiuti così, sei proprio un amico!»
«Beh, alla fine, finché non bruci tutto, è divertente,»
ridacchia, «potrei diventare il tuo Archimede!»
«Chi?»
«Archimede Pitagorico, l’aiutante di Paperinik!»
Inarco un sopracciglio scettico. «Allora vedi di inventarmi qualche
super-arma!»
«Un costume va bene lo stesso?»
Con un sorriso, lascio cadere la conversazione: malgrado la mia
ostentata positività, sono profondamente angosciato.
In negozio, Katia mi pressa da morire, confabula continuamente con la
store-manager: in qualche modo il suo istinto sa che l'incendio è
stata colpa mia.
A casa, invece, A. sta fiutando l’aria di mistero e omissione che
mi circonda giorno dopo giorno. «Dove sei stato oggi?» e io lì a
inventare scuse. Ma come faccio a dirglielo? Se avesse paura di me?
Chi vorrebbe mai stare con uno così, uno che non so nemmeno come
definire (un super-eroe – certo, come no –, un mostro, uno
scherzo della natura)?
Diversi giorni dopo, il garage è pronto, pulito e coi suoi dieci
estintori rossi.
Al di là della questione del controllo, che devo assolutamente
risolvere, c’è un altro aspetto che mi stuzzica: quante creature
posso evocare? All'inizio pensavo fosse solo il lupo, poi è arrivato
anche il leone. Quante saranno in tutto?
Ho
portato con me delle immagini, visto che la prima volta il lupo è
apparso in seguito a un input visivo. Le foto sono di creature
mitologiche assortite e sì, lo ammetto, ce n'è qualcuna di Final
Fantasy. Oh, metti che riesco a
evocare Bahamut o Anima …!
«Ok,» esordisce Puffo, «vogliamo cominciare? Se finirò arso vivo,
mi avrai sulla coscienza.»
«Ci ho già pensato, evocherò questo!» e gli mostro l'immagine di
un piccolo coniglietto blu che tutto sembra tranne pericoloso. Mi
concentro, cercando di richiamare al mio fianco quella presenza
paffuta e zuccherosa.
Cinque minuti dopo sono ancora lì, in piedi, col foglio davanti alla
faccia, lo sguardo contratto come se stessi al cesso. Del coniglietto
neppure la minima traccia.
«Merda!» lancio via i fogli; le figure volteggiano per la stanza –
unicorni, chimere e spettri neri. «Questo cazzo di potere fa come
gli pare! Come faccio, se non riesco a controllarlo?»
«Dai, è solo la prima prova!» cerca di tranquillizzarmi Puffo.
«No, è inutile,» continuo a gridare, «vanno e vengono come
vogliono, non ho nessun controllo, non ce l'avrò mai! Sono una cazzo
di bomba a orologeria!!!»
Con
le dita tra i capelli, scoppio in un pianto isterico. Prima
o poi metterò in pericolo anche A., basterà un litigio e poi …!
Devo lasciarlo, tenerlo lontano da me, tutti dovranno stare lontani
da me!
Travolto dall'angoscia, quasi non sento la voce di Puffo che mi
chiama. Mi guarda e indica qualcosa alle mie spalle.
Quando
mi volto, non ci sono coniglietti né lupi o leoni di fuoco. Dietro
di me fluttua alto e nero uno spettro, il volto nascosto dal
cappuccio e le lunghe braccia grigie e scheletriche. Un misto tra un
Nazgûl
e un Dissennatore.
Lo spettro mi fissa dal buio del suo cappuccio e io lo fisso a mia
volta. La riconosco subito, la zona più oscura e nascosta
dell'animo, quella che tormenta fino alla disperazione, fino a
spegnere persino la luce del sole.
La riconosco subito, l'ho già combattuta altre volte. E so che posso
domarla.
Che cominci l'allenamento.
lunedì 24 marzo 2014
Arrivederci e grazie per tutto
A quanto pare la mia avventura con voi si chiude con questo post. Non posso raccontarvi quello che è successo: è già tanto che mi abbiano lasciato scrivere un post di saluti. Ci tenevo a ringraziarvi per il sostegno. È stato grazie a voi se sono riuscito a cavarmela in questi pochi mesi ed è stato grazie a questo blog se mi hanno trovato e offerto il mio nuovo lavoro.
Ok, ho detto già troppo.
Però che le mie strane tracce verranno cancellate lo posso dire. In questo modo metteranno al sicuro la mia famiglia (o saranno gli unici che potranno usarla per ricattarmi). Devo trasferirmi, altrimenti altri potrebbero trovarmi. Mi dispiace lasciare la mia casa, la mia famiglia, i miei amici, ma devo ammettere che una scelta obbligata è più facile da prendere.
Però lasciare casa mi fa male. È come se dovessi dire addio a una parte di me.
Quanto sto diventando sentimentale e mieloso. No, basta così! Ciao casa, grazie per avermi accolto, ma devo andarmene. Punto. Finito.
Mi chiedo chi troverò e se troverò qualcuno di voi a farmi compagnia in questa nuova avventura. In fondo sarebbe un po’ presuntuoso pensare che, di tutti i poteri che si sono manifestati qui dentro, questi hanno bisogno solo del mio. Potere che, tra l’altro, è rimasto influenzato dall’incidente dell’ospedale: ora posso annullarlo semplicemente pensando a lui. Ora è quasi più difficile il contrario: non è facile non pensare a qualcosa e, se penso al mio potere, questo si annulla e torno grande. Però mi sto esercitando e ne ho quasi il controllo totale.
Ok, ci sarebbe un mucchio di cose che vorrei ancora raccontarvi, ma è scaduto il tempo. Chiudo la valigia e parto. Chissa se mi lasceranno leggere ancora il vostro blog.
Spero di cuore che anche voi abbiate fortuna.
Max.
venerdì 21 marzo 2014
LUCI LONTANE
È tempo di
partire…
Il molo è una
lingua di cemento che si allunga dritta sul mare, le pietre ammassate ai
fianchi per frangere l’onda sembrano praline di gigantesche nocciole.
Guardiamo le
luci delle navi al largo e il mare che imbrunisce di pari passo con il cielo. A
sinistra sfocia il fiume; quel particolare dà il nome all’intero tratto di
spiaggia e io so che a mettersi lì con la canna da pesca, proprio sotto il
cartello di divieto, si prendono delle belle orate. Più in là lo sfavillio dei lampioni
al porto segna il confine per una primavera lontana dal punto in cui sediamo.
«Giocavamo a
pallone su quella spiaggia, insieme. Un pallone di gomma che se lo portava via
il vento prima ancora di calciarlo, e quando riuscivi finalmente a tirare non
potevi mai sapere che direzione prendeva.»
Jessica si
volta a guardare e il vento le sospinge i capelli sugli occhi. «Un gabbiano!»
Dice, riportando lo sguardo su di me.
Io sorrido
appena: «E come lo acchiappo un gabbiano!»
«Allora una
formica, una mosca, qualcosa, qualsiasi cosa!» La sua voce si alza a ogni
parola, ma non va molto più in là perché il vento carico di salsedine le respinge
indietro. Alle nostre spalle c’è un vecchio faretto che non funziona, un misero
cilindretto tutto ruggine di nemmeno tre metri d’altezza.
Rientriamo
passeggiando, io le tendo la mano, ma lei si caccia le sue nelle tasche del
giubbotto. A ogni passo noto le chiazze sul cemento lasciate dai calamari
pescati la notte: si usano delle luci per ingannarli e farli venire a galla.
«Sei sicuro?
Non mi dici bugie?»
«Potrei mentire
su una cosa del genere?» Quelle parole mi vengono fuori quando siamo seduti in
macchina di fianco al cimitero, il tergicristallo scaccia la pioggia dal
parabrezza come impazzito. Sono poche parole, ma sono le più efficaci, se non
per convincerla del tutto almeno per assecondarmi.
«Non posso
mostrartelo: se resuscito qualcosa, poi devo attendere del tempo affinché il
potere si ricarichi.»
Non dice
niente. Apre la portiera ed esce fuori in mezzo alla pioggia. Io spengo il
motore, recupero gli attrezzi dal cofano e le porgo l’ombrello, ma le sue mani
rimangono dentro le tasche.
C’inoltriamo in
un boschetto d’eucalipto che fiancheggia il cimitero, un groviglio di alte
fronde che stormiscono nel buio mentre il vento muggisce in mezzo ai tronchi.
Il terreno fangoso e ricoperto d’erbetta fradicia, s’alza e s’abbassa come un’onda
che si abbatte sul muro di recinzione facendo in modo che si possa scavalcare
agevolmente. Quando siamo dentro le nostre torce fendono gli spazi tra le tombe,
il marmo lucido di pioggia amplifica la luce spedendola in ogni direzione.
“Sento” i visi
nelle foto, percepisco i loro occhi mentre rivoli d’acqua colano sui vetri
dietro i quali si nascondono. C’è la foto di una bambina e io non posso fare a
meno di fermarmi a guardarla: si chiamava Grazia, nel suo mezzobusto indossa il
grembiulino rosa della scuola con un gigantesco fiocco giallo sotto il mento.
«Non puoi
riportarli tutti indietro.» Mi sussurra Jessica, mentre io sto fermo a fissare
la tomba e su di noi piovono scudisciate d’acqua. Afferra la mia mano e mi
conduce sul vialetto di ghiaia che porta alla zona degli alti muri con i loculi
impilati uno sull’altro.
La polvere di
marmo si è impastata con l’acqua sulle mie braccia, le urla roche sono state
annegate dalla pioggia che mi precipita in gola mentre rivolgo il viso al cielo
tra il balenio dei lampi. Jessica piange, ma nella furia dell’acquazzone non
riesco a scorgere le sue lacrime, le labbra le tremano incontrollate e stanno
diventando viola.
«Torna in
macchina!» Le grido lanciando le chiavi e cercando di soverchiare il fracasso del
temporale «torna in macchina!»
Ha un attimo di
esitazione poi scappa a correre nella direzione opposta e l’ultima cosa che
vedo è il cappuccio del suo giubbotto che balla sulle spalle.
È tempo di
partire. Eccomi DEM: sto arrivando.
giovedì 20 marzo 2014
Gli errori si pagano
Gli errori si pagano.
L’ho capito ieri sera. Sono stato troppo superficiale, arrogante, e solo perché
avevo un superpotere.
La verità è che sono un
coglione, e qualcuno rischia di morire per questo.
Ricapitolando, nel post
precedente avevo detto di essermi liberato per sempre dell’organizzazione
criminale che mi pedinava.
Ieri sera ho scoperto
che mi sbagliavo: torno da una cena a casa di amici, chiudo la macchina, e
all’improvviso vedo le stelle e poi l’oscurità assoluta.
Rinvengo in un capannone
vuoto, illuminato da tre riflettori fotoelettrici puntati su di me. Ho un
dolore pulsante alla testa e sono seduto su di una scomoda seggiola di plastica
con le mani legate dietro la schiena. Attorno ho una dozzina di brutti ceffi. «Buonasera
signor XXXXXXXXX.» dice il tizio che ho di fronte a me.
«Ci conosciamo, per
caso?» gli chiedo, cercando di sembrare spavaldo.
«É riuscito a mandare a
puttane un carico di sei milioni di euro, il mese scorso.» risponde il tizio.
«Mi scusi, deve avermi
scambiato con qualcun altro.»
«No.» risponde questi,
con il mio cellulare stretto in mano «Ti hanno visto parlare con i nostri
uomini prima che la dogana sequestrasse tutta la droga. Abbiamo controllato: non
sei uno sbirro, eppure sei riuscito a infiltrarti nella nostra organizzazione.
Ora tu ci dirai per chi lavori e come hai fatto.»
Sudo freddo. Non potevo
dire la verità, primo perché non mi avrebbero creduto, secondo perché – ipotesi
peggiore – avrebbero potuto credermi, e allora vi avrei condannati tutti,
Sybil, Max Steel, Portatore di luce, Lazzaro.
«Sono molto
convincente.» rispondo da vero idiota.
Un cazzottone allo
sterno. Me lo meritavo: porca miseria, non eravamo in un film, ma che credevo
di fare? Il tizio mi afferra la faccia e mi ringhia addosso queste parole: «Con
chi credi di parlare, eh? Ti faccio un buco in testa e ci piscio dentro hai
capito?» Tira fuori una pistola e me la punta in fronte. «Canta, stronzo, chi cazzo
sei?»
«D’accordo» rispondo, mentre
la vescica mi si riempie. Chiudo gli occhi, mando il cervello in automatico e lascio
libera la mia parte oscura, che il Signore mi perdoni. «Ammazzatevi tra di voi,
stronzi.» urla un altro me stesso.
Mi butto a terra con
tutta la sedia, mentre sopra di me si scatena la mattanza.
Quando tutto finisce
ancora mi fischiano le orecchie. L’odore di polvere da sparo impregna l’aria.
Apro un occhio e vedo un cadavere a pochi centimetri dalla mia faccia.
Mi rimetto in piedi e
constato il massacro: dodici cadaveri sono sparsi attorno a me. Solo tre erano
armati di pistola, gli altri stringevano tra le mani coltelli insanguinati e
tirapugni. Un riflettore si è rovesciato senza spegnersi, mentre un altro è
stato spento da un proiettile vagante.
Con fatica mi libero, rischiando
anche di slogarmi un polso, e mi metto la corda in tasca. Inizio a cercare
l’uscita quando un colpo di tosse rischia di farmi venire un infarto.
Nella semioscurità uno
dei criminali si muove e farfugliava qualcosa. Non so perché mi avvicino.
Appena sono abbastanza vicino rischio un secondo infarto: «Brigadiere…» dice.
Una mano gelata mi
passa sulla schiena.
«Cosa?» chiedo con voce
strozzata all’uomo a terra, con un bel foro nello stomaco. «Sotto copertura…»
risponde.
Ripeto la domanda
usando il potere della Voce: «Dimmi la verità: sei veramente un carabiniere in
missione?»
«Sì.» risponde lui
tossendo sangue.
Mi metto le mani tra i
capelli. Oddio, che avevo fatto?
Dovevo salvarlo, a ogni
costo. Mi riprendo il cellulare, inizio a comporre il numero del 118 ma mi fermo. Prendo un fazzoletto di
carta, afferro un cellulare da un cadavere e chiamo i soccorsi con quello, camuffando
la voce. Poi scappo di corsa. Non ho mai smesso di piangere nel frattempo.
Stamattina i giornali
parlano di un regolamento di conti. Non si fa cenno al carabiniere. Se fosse
morto i giornali lo avrebbero riportato subito, quindi è ancora vivo.
Devo salvarlo, ma è un
compito che travalica i miei poteri. Ho bisogno di aiuto.
Lazzaro, ti prego, ho
bisogno di te, contattami.
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