Sapete
cosa vuol dire perspicua? Di solito si definisce così una risposta,
nel senso di chiara, limpida. Mi piaceva tanto l'idea di attribuirmi
quel significato, visto che ormai sono diventata trasparente.
Anonima, scialba? No, proprio trasparente agli occhi dell'umanità.
Mi alzo, doccia, giacchetta, caffè, vado in un posto ma nessuno mi
vede. Due le ipotesi: o credo di andare e in realtà non vado, oppure
la gente non mi vede perché sono invisibile. Se mi sono fermata a
leggere i vostri deliri su questo blog è perché sono sola, lontana
mille chilometri da casa, senza uno straccio di amico o amante a
tenermi la mano mentre cerco di convincermi di non essere pazza da
legare. E' lo stress, mi ripeto da mesi, è lo stress a farmi pensare
che mi accadano cose che non sono possibili. Da quando è affiorato
sul collo un segno rosso, come una doppia s intrecciata. Ho pensato
ad una dermatite, inizialmente, sperando che passasse senza dover
consultare un medico. Non troverei un buco in agenda per andare a
farmi una visita neanche piangendo. Invece è sempre là, forse
lievemente più appiattita. La copro con i foulard perché lavoro in
televisione, non vorrei che da casa avessero l'impressione di una
cronista/vampira, con i punti sul collo. Mi ci manca giusto quello,
già credono tutti che porti male, in redazione. Il caporedattore mi
ha trasferita con un calcio nel sedere proprio per farmi cambiare
aria, anche se formalmente si tratta di una promozione. Inviata
speciale per una serie di omicidi avvenuti nelle campagne di una
cittadina di centomila anime. Lasciare la metropoli per infilarmi in
un buco di posto dove sembrano aver scoperto ora l'aperitivo mi è
costato caro, ma non avevo alternative. Ho le bollette da pagare e
una particolare debolezza per le borse firmate: quindi devo lavorare,
e parecchio. L'unico elemento positivo è che faccio base in una tv
locale dove mi trattano bene, come se fossi importante. I cameraman
che si alternano al mio fianco sono dei bravi ragazzi, semplici, roba
che da noi non esiste più. Insomma, trovo quasi il verso di farmi
piacere la situazione, quando una mattina tocco il fondo. Faccio il
giro di nera (ovvero le telefonate alle forze dell'ordine per sapere
se va tutto bene) e mi dicono che è saltato fuori un altro cadavere.
Sempre una prostituta, di circa venti anni, uccisa con un
coltellaccio da macellaio dopo un rapporto (uno?), lasciata sul
ciglio della strada con una rosa rossa in mano. Avendola mollata in
bella vista sulla provinciale, ormai, la cosa è sulla bocca di
tutti. E poi c'è la rosa, il suo marchio, il folle ha colpito
ancora. Va beh, mi danno l'indirizzo, telefono al cameraman
chiedendogli di raggiungermi direttamente là. Arrivo prima che
posso, ma vedo già un sacco di telecamere puntate sulla strada.
Male, roba da prima pagina, coi titoloni. Squilla e vibra il telefono
che ho in tasca, il caporedattore mi chiede un collegamento in
diretta; mandano un furgone regia. Sento la schiuma salirmi alla
bocca. Non vi ho detto che odio il mio lavoro, vero? Lo odio, detesto
con tutta me stessa andare in onda. Mi fa schifo rivedermi, mi sento
una deficiente, con una voce orribile. E non è una cosa recente,
scappavo anche da piccola di fronte all'obiettivo. Sognavo di
diventare una giornalista, di quelle brave, che scrivono belle al
chiuso in una redazione piena di fumo. Invece sono capitata in una
televisione dove mi fanno condurre anche il telegiornale. Non so come
il mio cuore abbia retto allo stress, in tutti questi anni. Sono
riuscita a non farmi mai venire un attacco di panico in onda, ho un
autocontrollo incredibile, ma temo sia solo questione di tempo. I
collegamenti in diretta sono la cosa che detesto di più, oltre al
tg. Devi star ferma con in microfono in mano e dire cosa sta
accadendo, ovunque tu sia. Con la gente intorno che ti guarda… Vedo
i colleghi tenuti a distanza dal cadavere, già coperto con il telo
bianco, e li raggiungo. Sto per salutarli ma qualcosa mi blocca.
Nessuno si è voltato verso di me, nemmeno impercettibilmente. Agito
la mano con il palmo ben aperto, con un gesto da mimo; nulla. Mi
scappa da ridere. Alzo il dito medio e lo metto davanti al naso di
una collega grassottella che pensa di sapere sempre tutto lei.
Niente, come se non esistessi. Nel frattempo arriva il mio cameraman,
che saluta e chiede se mi hanno vista. Rispondono in coro di no. Le
gambe mi tremano, sono sul punto di vomitare (il vomito si sarebbe
visto, secondo voi?). Torno con passo incerto verso la macchina, apro
la portiera dopo un paio di tentativi andati a vuoto e mi infilo sul
sedile posteriore, sdraiandomi. Il cellulare inizia a squillare. È
il cameraman che mi cerca. Scatto in piedi, come se qualcuno mi
avesse schiaffeggiata con forza. Mi vede e si avvicina prendendomi in
giro. «Non si dorme sul lavoro», aggiunge a bassa voce. Mi vede,
capite? Sono tornata “visibile”. Scendo frastornata, lo saluto e
accenno un ciao da lontano agli altri, che ricambiano. Quindici
minuti al collegamento in diretta, con la mente fissa su quello che è
successo, col terrore di sparire davanti alla telecamera. Recupero un
po' di autocontrollo, fila tutto liscio. Sono tornata in albergo per
buttarmi in rete: ho trovato voi, che mi sembrate messi male come me.
Avevo già avuto qualche problema nei mesi passati, ma ora mi
terrorizza anche la sola idea di mettere il naso fuori. Voi pensate
di parlarne con i vostri familiari o per ora tacete? Di sicuro andrò
dal medico per farmi vedere quella macchia sul collo, non vorrei che
fosse il segno di qualcosa di grave, che mi sta fulminando il
cervello.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.