venerdì 27 dicembre 2013

IL LUPO

Ciao Sybil, finalmente ti ho trovata! Ero certo di non essere solo.
Ho bisogno di raccontare la mia storia a qualcuno che possa capirla e tu sei la persona giusta. Perché quello che mi è successo è incredibile, ho pensato persino di aver sognato tutto, ma so che non è così!
Bene: cominciamo dall’inizio.

Sono Eidolon, ho ventotto anni e vivo a Bologna.
È il 21 dicembre e sto tornando da una festa insieme a un amico. Ci siamo divertiti molto e non abbiamo pagato una lira, perché, oltre all’ingresso gratis, il barista ci ha offerto un paio di Long Island omaggio. Non per generosità, ovvio: quello ci prova con me dall’alba dei tempi.
Il punto è che nella ricetta del Long Island c'è qualcosa che nuoce gravemente all'organismo umano, perché sia io che Puffo, il mio amico (sì, si chiama Puffo), barcolliamo per la via gonfi d'alcol come vecchie vedove russe.
«Ehi,» balbetto, «che razza di festa! Ma cosa c'ha messo il barista dentro il Long Island? Satana?»
«Tutto l'amore che prova per te,» biascica Puffo. «Ti prego, vacci a letto il più tardi possibile, voglio che questi omaggi non finiscano mai!»
«Ma, Puffo, io non ci andrò a letto mai. Insomma, scherziamo? È solo un flirt finalizzato ad alcol aggiuntivo, il sesso con quell'uomo è fuori discussione.»
Lui ridacchia e si appoggia a una colonna del portico. «Oddio, domani chi ci va a lavoro?»
«Ah, io domani faccio chiusura in negozio,» alzo le mani, «ho tutto il pomeriggio per risuscitare!» Lo afferro per le ascelle e lo tiro in piedi come una marionetta. «Andiamo, dai!»
«Ehi, voi! Avete da accendere?»
Due tizi appaiono alle nostre spalle: uno alto e magro con un giubbotto nero e una felpa gialla dell’Harley Davidson – nemmeno fossimo negli anni ‘90; l’altro basso e tarchiato, con la maglia di una qualche sconosciuta band metal che ha come simbolo la testa di un grosso lupo nero.
«No,» rispondo distrattamente, «non fumiamo.»
Faccio appena in tempo a terminare la frase che il tizio alto estrae dalla tasca un coltello a serramanico.
Puffo sbianca. Il mio stomaco compie un’ardita capriola.
«S-stiamo calmi,» esclamo subito, «vi diamo tutto.» M’infilo le mani in tasca e tiro fuori uno sgualcito biglietto da dieci euro, quello con cui avrei dovuto pagare il drink. «Ho solo queste … ma …»
«Mi prendi per il culo?» sputacchia il tarchiato.
«No, ti giuro che è tutto …»
«Tu non hai solo dieci euro, frocio del cazzo,» insiste quello, sguainando un altro coltello. «Tira fuori il resto o apriamo la faccia al tuo amico!»
In pochi secondi, l'uomo alto agguanta Puffo, mentre l’altro gli sventola la lama vicino alla faccia.
«Cristo, no!» gli urlo. «Fermi! Fermi!»
Il coltello si avvicina pericolosamente all'occhio destro di Puffo. «Vieni a fermarci tu, finocchio?»
Un’orribile senso d’impotenza mi travolge come una valanga, gelida e dolorosa, per poi deformarsi in un rogo di rabbia. Quando il mio sguardo incrocia la maglia del tizio tarchiato, quella col lupo, nella mia mente germoglia un pensiero spontaneo, che tuttora non riesco a spiegarmi: Aiutami.
La mia ira, finora trattenuta dagli argini della paura, straripa come un fiume in piena: un flusso invisibile mi scaturisce dal petto ed esonda oltre il mio corpo. Ed è allora che mi accorgo che i due tizi mi fissano atterriti.
Ma no, non fissano me, stanno guardando qualcosa dietro di me.
Alle mie spalle, un lupo nero grosso come un cavallo avanza tra le colonne, occhi di ghiaccio e fauci gigantesche. La sua pelliccia fluttua liquida, indistinta come un sogno. Mi stropiccio gli occhi, forse è l’alcol o uno stupido gioco di ombre; ma le facce sgomente degli altri, compresa quella di Puffo, fugano ogni dubbio.
Con un latrato il lupo mostra lunghe zanne scintillanti. I rapinatori, sguardo fisso su di lui, lasciano andare Puffo e pian piano indietreggiano, fino a svanire nell'intrico di colonne del portico.
Allora l'animale si volta verso di me e mi punta addosso gli occhi azzurri.
«C-cosa vuoi? V-via! Va’ via!»
La belva punta dritta avanti a sé e s’incammina, svanendo nella notte.
«E quello cosa cazzo era?» grida Puffo.
«Non lo so.» Era il lupo della maglietta di quel tizio. Io l’ho pensato e lui è apparso. «Andiamo a dormire, che è meglio.»

Nessuno dei due apre bocca per tutto il tragitto, ma un pensiero fisso mi tormenta, passo dopo passo, come un ronzio sommesso che solo io posso sentire: Quel lupo l'ho evocato io!

2 commenti:

  1. Cioè aspetta, stai cercando di dirmi che quel coso peloso che ho visto dal balcone, non era dovuto alla robaccia che fumo???

    RispondiElimina
  2. Mmm ... beh, quello forse sì, non saprei!

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.