A scavare fosse
si perde tempo…
Era stordito
certo e perdeva pure sangue da un taglio sulla testa, ma che altro? Niente:
niente di niente.
«Cos’è
successo?»
«È scivolato e
ha battuto la testa.»
«Ma che
coglione che sono!»
“Già!” Pensai, «forza!
L’accompagno al pronto soccorso.»
Prima sono
corso in bagno a sciacquarmi la faccia; ero terreo in volto come certe ragazzine
che si spalmano tonnellate di fondotinta per seppellire i brufoli. Mi sentivo
spossato, le mattonelle alle pareti sembravano liquefarsi, la maglietta era
attaccata alla schiena da secchiate di sudore. È lì che ho scoperto il segno
sul bicipite, era quasi evanescente come una vecchia
smagliatura sulla pelle. In quel momento fui sicuro che per resuscitarlo una
parte della mia vita, accorciandosi, si è trasferita in lui: “l’ennesimo sgarbo
di quel pezzo di merda!” Pensai, ma ce di più, ero stremato, affannavo, se avessi
dovuto ripetere il “miracolo” avrei fallito: ne ero sicuro… sicurissimo.
Ho passato un
intero fine settimana con la stessa frase tra i denti: «… Non ho niente, sono
solo un po’ stanco, tutto qua...» Sulle labbra un sorriso che pareva ottenuto
con una pinzatrice. Io e la mia ragazza abitiamo a cento chilometri di distanza
e ci vediamo solo il sabato e la domenica; sapete: mi ha regalato un telefono
per il compleanno e io sono stato capace di ripetere solo quelle parole per tutto
il tempo. Abbiamo litigato, ma non posso certo biasimarla, quando uno se ne sta
zitto per tutto il tempo è normale no? Non abbiamo fatto l’amore, non stavolta,
temevo che spogliandomi avrebbe notato il segno capendo in qualche modo ciò che
avevo fatto: quante delle vostre donne (o uomini) capiscono il vostro stato
d’animo con una semplice occhiata? E non parlo di essere bravi o cattivi
attori.
Quando, lunedì
all’alba, ci siamo salutati lei ha pianto e io avevo il volto livido. Ho pianto
pure io quando il treno è partito, di nascosto, stando seduto sul cesso come
fanno gli uomini patetici. La luce del bagno come un’accusa accecante puntata
sulla testa, fuori dal finestrino solo sagome annerite stagliate contro lo
sbiadito azzurro-verde dell’orizzonte; oltre la porta chiusa, nell’isoloto in
mezzo al vagone, alcuni ragazzini ridevano e facevano casino. Uno diceva che
sabato notte si era ridotto da buttare via, l’altro era riuscito a infilare la
mano dentro le mutandine della sua amica; a detta sua a lei era piaciuto
immensamente anche se era solo per qualche secondo: ma che volete, si fa quel
che si può! In quel momento sentii il bisogno dell’uno e dell’altro, ma avevo
solo acqua non potabile del lavabo incrostato e la mia fidanzata era già a
dieci chilometri di distanza e per tutto il tempo che mi era stata vicina non
l’avevo nemmeno sfiorata. A proposito: si chiama Jessica e una vita fa le ripetevo
sempre che ha gli occhi tondi e gli zigomi sporgenti.
Quel lunedì sono tornato a lavoro; mi sono fermato davanti al palazzo dove
c’è lo studio, ho esitato, le chiavi mi sono scivolate di mano e le ho lasciate
lì in terra: non potevo tornare in quella stanza dopo quello che era successo,
non potevo parlare a quell’uomo guardandolo in faccia e specchiandomi nei suoi
occhi morti.
Ho preso a
camminare e arrovellarmi il cervello, pensavo che in quello stesso istante
qualcuno stava morendo (e chissà quante vite si sono spente nel momento in cui
scrivo). Avere il dono di resuscitare la gente senza quello dell’ubiquità è una
gran bella fregatura! E poi c’è il fatto che sembro aver bisogno di tempo per
“ricaricarmi”: nel momento in cui vagavo senza meta il segno aveva ripreso le
sue sfumature di fiamma sul bicipite. Alla fine sono tornato alla macchina, ho
messo in moto e quando ho parcheggiato di nuovo erano le undici e l’alto muro
del cimitero si spiegava come un’ala dissecata oltre il parabrezza.
C’è solo un modo per andare a
fondo alle cose ed è quello di affrontarle. A scavare fosse si perde tempo…
così quando sono rientrato a casa ho ucciso il mio cane.
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