«Sei
stato tu, non è vero?»
Le parole di Puffo mi colpiscono come pugni in faccia.
Il
Caffè tintinna di piattini su un sottofondo di ciarle sommesse:
coppiette intrecciate a tavolini di legno assaggiano l'uno la brioche
dell'altra; studenti radical chic fingono di studiare sui loro
mac-book, sprofondati in grosse poltrone finto vintage; gruppi di
ragazze in leggins e ballerine si raccontano dell'ultimo stage in
Cappadocia, soffiando sul loro bollente caffè al ginseng. Vi
chiederete cosa diavolo ci faccio qui; l'unica ragione è che questo
è il locale più vicino a casa mia. E io avevo bisogno di parlare
con qualcuno oggi. Ho
anche aspettato troppo, tenermi tutto dentro mi sta uccidendo.
«Senti,»
prosegue Puffo, «io c'ero la prima volta che è successo e qualcosa
mi dice che in negozio è andata allo stesso modo.»
«Hai
paura di me, vero?» mormoro.
Puffo
non risponde subito; sorseggia il suo tè in silenzio. Ecco
cos'è. Paura. Ha paura di me. Il mio migliore amico ha paura di me.
Un nodo di lacrime mi risale la gola.
«Io
ti conosco e per me non cambia nulla,» aggiunge poco dopo,
«razionalmente parlando. Ma se me lo chiedi, beh, sì, ho paura.
Perché hai questo potere …»
«Io
non ho nessun potere!» ringhio a denti stretti.
«…
e non riesci a controllarlo. È questo che mi fa paura, che potresti
far del male a qualcuno; senza volerlo, santo Dio, senza volerlo: ma
potrebbe accadere; ti si potrebbe persino ritorcere contro.»
«Io
non voglio nessun cazzo di potere!»
«Ma
ce l'hai.»
La
verità mi arriva addosso con violenza inaudita. Posso continuare a
partorire scuse, giustificazioni – ero ubriaco, non sono sicuro di
aver davvero visto un
leone, ci dev'essere una spiegazione – ma quello che so, sin da
quel lontano 21 dicembre – è che io
ho invocato quelle creature e non c'è niente da fare, è così, che
io lo voglia o no.
Il nodo di lacrime esplode e io scoppio in un pianto dirotto, con
quell'inutile caffè ancora stretto in mano. Un paio di ragazze al
tavolo di fianco si gira; poi tornano a raccontare di quando hanno
fatto l'autostop a Istanbul.
«Scusa,
io … hai ragione … ho una paura fottuta di fare del male agli
altri … a te, ad A., che succede che litighiamo e appare il leone?
Do fuoco alla casa?»
«Su,
su,» si avvicina Puffo, poggiandomi una mano sulla spalla, «sfogati,
ti fa bene.»
«E
poi? Cosa cambierebbe? Sono una cazzo di bomba a orologeria! Potevo
…» abbasso la voce «potevo uccidere qualcuno l'altro giorno in
negozio!»
«Ma
non l'hai fatto di proposito, giusto?»
«Certo
che no! Ero incazzato nero, questo sì, ma non avrei mai …!»
«Appunto,
è come ti dico io! Devi dominare il tuo potere!» Puffo termina il
suo tè ed espone la sua tesi: «È come quando a sedici anni sei in
piena tempesta ormonale: hai gli sbalzi d'umore e un'incontenibile
voglia di scopare, così ti si spegne il cervello e ti ritrovi in
macchina con dei cessi cosmici.»
«Una
bella allegoria,» commento in tono scettico, «e il collegamento coi
miei cuccioli che incendiano i negozi quale sarebbe?»
«Beh,»
prosegue Puffo, meglio di un ricercatore che espone la sua teoria
antropologica a un convegno internazionale, «ora sei come un
sedicenne in balia degli ormoni: non sei tu a comandare, bensì il
tuo potere. Devi capire come funziona e imparare a controllarlo. Devi
fare delle prove, insomma!»
«Prove?»
«Sì,
evocare a comando quei mostri e poi dominarli.»
«E
se non ci riesco?»
«Incendierai
qualcos'altro. Prova con Zara Home, nessuno ne sentirà la mancanza.»
«Ah.
Ah. Bella battuta! Intanto per la storia dell'incendio rischio di
essere licenziato!»
«Cosa?»
esclama Puffo. «Ma non hanno prove che sia stato tu! Anche i
pompieri hanno detto che non è stato doloso!»
Inarco un sopracciglio e con tono da martire rispondo: «Katia.»
Puffo mi fissa esterrefatto. «Non dirmi che …»
«Ha
messo la pulce nell'orecchio della store-manager e mi hanno fatto
capire che mi terranno d'occhio.»
«Che
troia! Meriterebbe una bella lezione!»
Ci scambiamo uno sguardo malefico. «Dicevi di fare delle prove?»
esclamo con un sorriso. «Sai, mi è appena venuta un'idea.»
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