lunedì 24 febbraio 2014

Peeping Tom

Viaggiare da uno specchio all'altro non è istantaneo. C'è sempre una pausa tra partenza e arrivo, un momento di vuoto, una scelta. A volte dura solo un battito di ciglia: salto e sono già lì. Ma altre volte…
Immaginate di vagare in un grigiore uniforme, tra lunghe schiere di specchi sospesi. È un po' come sbirciare attraverso una moltitudine di finestre opache. Fare zapping tra milioni di canali. Cosa scegliereste?
È difficile spiegare cosa si prova a mezzo del salto, quando ogni decisione è ancora da prendere. Ad accoglierti oltre il vetro c'è soltanto la quiete dell'attraverso: un nulla incolore in cui sprofondare, i lontani lampi dei primi riflessi a farti da guida. È come galleggiare nello spazio, sapendo che ogni stella è una meta possibile.
Senza una destinazione precisa il viaggio nell'attraverso potrebbe durare all'infinito, ma è difficile fermarsi con l'intero universo davanti. Nessuno sa cosa si nasconde al di là del prossimo specchio o di quello dopo ancora, però forse è qualcosa di buono: meglio andare a vedere.
La regola più importante l'ho scoperta una volta tornata indietro: mai attardarsi troppo.
Avrete già capito che mi piace fare acquisti su internet. La mia usuale prassi nell'accogliere i conseguenti fattorini è borbottare un saluto appropriato all'ora, fare uno scarabocchio e poi correre a spacchettare tra gridolini di giubilio. Se amo i corrieri è solo perché mi portano quello che voglio e poi si levano dai piedi.
Ma l'altra mattina, dopo un'ora passata nell'attraverso alla vana ricerca della Hawaii (l'inverno mi sta mettendo a dura prova), sono riapparsa a casa proprio durante il buzz-buzz del citofono. il mio cuore ha mancato un battito. È il fattorino, mi sono detta. Quello carino con il tatuaggio, ragni sul polso, di sicuro ci deve essere una storia dietro, non so perché non gliel'ho mai chiesto, lo farò subito.
A pensiero segue reazione, nessun ripensamento: una donna corre giù per le scale in preda all'improvvisa voglia di chiacchierare con il fattorino. Prima di arrivare al portone mi sono sistemata i capelli, poi ho fatto gli ultimi quattro scalini a passo posato, perché non volevo mi scappassero le ciabatte dai piedi proprio dove lui poteva vedermi (è già successo: mi piacciono grandi).
La faccia mi si è allargata in un sorriso tutto denti. In altre circostanze mi sarei ricordata di quanto mi fa assomigliare al gatto del Chesire.
“Ciao! Grazie! È per me vero? Beh, certo, hai suonato da me.”
Non c'è onomatopea al mondo per rendere la risata in cui mi sono prodotta.
“Ho sempre voluto chiederti, no, ma quel tatuaggio, perché ce l'hai? Anche a me piacciono i ragni, sempre piaciuti, fin da bambina. Credo sia a causa di Shelob. Il Signore degli Anelli. Hai presente? Adorabile bestiola.”
Ha provato a rispondere, o forse solo a chiedermi di “apporre una firma qui”, ma ormai ero lanciata.
“È stata mamma a farmi scoprire Tolkien. Mi ha letto tutta la triologia, povera donna, che voglia. Comunque, amo i ragni. L'ho già detto? In casa conviviamo pacifici. Un po' meno i gatti.”
L'ho guardato fissa negli occhi, che erano azzurri e a loro modo ragguardevoli.
“Quindi? Il tatuaggio?”
Lui ha fatto una smorfia, un lieve cedimento della facciata professionale mantenuta durante il mio sproloquio. Spallucce.
“Boh. Così.”
“Ho sempre pensato di farmene uno ma alla fine non ci sono mai arrivata dietro. Mi manca l'idea giusta. Invece non potrei tingermi bionda, a te sta bene, bel colore, ma su di me sarebbe agghiacciaaaaante.”
Proprio in questo modo, enfatizzando le A.
Mi ha porto lettore e penna, probabilmente per la quarta volta. Ho ceduto solo a causa del lontano, fievole richiamo della mia dignità. Ma nel guardarlo girarsi per andarsene, qualcosa dentro di me è ripiombato ai primi anni duemila, quando consideravo la pacca sul didietro un accettabile lubrificante sociale.
Sciaff: palmo aperto, chiappa piena.
Ha avuto la cortesia di non insultarmi. Nemmeno quando ho alzato il pollice in segno di approvazione. Nemmeno quando gli ho gridato dietro “Alla prossima, culo sodo”.
Per come la vedo io, un salto istantaneo mi affatica, ergo lo svenimento. Ma il troppo tempo nell'attraverso mi trasforma in una rana dalla bocca larga.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.