lunedì 3 marzo 2014

La Bilancia dell'Ingiustizia

Il puzzo della polvere da sparo ferisce ancora le mie narici, anche se già da un paio di minuti ho lasciato l'ingiusta aula di tribunale, ospite nel dotto angusto palazzo dei senza legge. Il simbolo dietro il collo continua a prudere, ma forse è soltanto una sensazione. Anche se è comparso solo stamane, sembra essere parte di me come una voglia disegnata da un folle pittore il giorno dell'Apocalisse, dopo aver contemplato le fosse ardenti dell'Inferno. Forse i colori sono frutto delle ceneri vive e dei sudori caldi di quelle fornaci, mescolate alle lacrime di sofferenze indicibili.

La città di Messina non è certo Gotham City. Non ha architetture gotiche, nè tecnologia frutto di una sviluppata era industriale. I cittadini vagano come morti viventi, lasciando orme strascicate e pesanti sulla carne marciscente sviluppatasi da quell'irrazionale intrigo di arterie che sono le sue strade, un tempo libere, adesso mostruosamente impedite dal gusto decadente di ladri in giacca e cravatta, vampiri moderni il cui unico fine è assaporarne il vermiglio succo della sua ormai tragica esistenza. Non ci sono eroi, nella mia città. Solo vittime. Almeno fino ad ora.

Ho sempre pensato che fare l'avvocato fosse l'unica risposta all'urlato desiderio di cambiamento, agendo dall'interno, come una singola cellula impazzita che riesce a contaminare l'oscurità che si nasconde dietro norme di convenienza, su cui glissare a proprio piacimento. Accanto a me, c'è il mio cliente, accusato di stupro ed omicidio. Ha l'arroganza di chi sente di essere intoccabile. Nessuna prova contro di lui, un giudice affetto da delirio di onnipotenza, testardo e presuntuoso, desiderio inespresso di qualunque mio collega, nella mia situazione. Sorride, seduto al mio fianco, cercando in me, il suo avvocato difensore, appoggio e comprensione, quasi un Messia crocifisso sull'altare della follia umana. Rabbrividisco, quando la ragazza, la vittima, con il petto squarciato e ancora sanguinante mi tocca la mano, emettendo muti lamenti, senza potersi alzare ed urlare l'odio contro il suo carnefice. Muove le labbra, chiedendo nel silenzio di essere io la sua voce. Sento il simbolo bruciare come un tizzone e nel momento in cui l'uomo mi tocca la spalla, il mio potere agisce da catalizzatore: tutto il dolore passa da quell'anima angosciata attraverso me e raggiunge il suo assassino. Lui si contorce, stringe gli occhi e i denti e si alza di scatto. Ho l'impressione di assistere ad una blasfema trasfigurazione, l'assurda consapevolezza che quell'attimo rappresenta la fine del fogli, oltre cui non potrà mai più scrivere. Non ho neanche il tempo di fermarlo, mentre lui afferra la pistola del carabiniere accanto a lui, la punta alle proprie tempie e preme il grilletto. Poi il sangue, e il silenzio. Suo è stato il dito che ha posto fine alla sua esistenza, ma guardandolo so che il vero responsabile sono io, il mio potere ha fatto giustizia più di qualunque tribunale.

Vedo lo spettro finalmente sereno, sazio di vendetta. Espiro, liberando l'aria da troppo rinchiusa dentro me, e abbandonando, nel contempo, anche le mie folli ed illogiche sovrastrutture: ora so che un uomo può fare la differenza. Giustizia è fatta. Sorrido mentre lascio l'aula insieme al resto del pubblico, accompagnato dai carabinieri, pensando ai poteri che col tempo e l'esperienza cresceranno per forza e controllo. Ho solo socchiuso una porta e chissà quale mondo troverò una volta che l'avrò aperta del tutto. Faccio un passo e mi spingo oltre “La soglia”.

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