venerdì 7 marzo 2014

LA MIA FAMIGLIA



Ho quattro sorelle…

Sorella menzogna:
Quando i miei genitori sono rientrati l’hanno chiamato. Non c’è stata risposta, solo il vago aroma di limone e menta che aleggiava nell’aria e una macchia d’umido a scurire il cemento. «È uscito… come ho aperto il portone è scappato via: avrà sentito l’odore di un altro cane. Quando si stanca torna… è uscito.»
Io non ho pranzato e il cane non è tornato.
Mi sono chiuso in camera, seduto sul bordo del letto a guardare tra i miei piedi il pezzo di busta nera che sporgeva da sotto. Solo la luce sullo schermo del telefono mi teneva compagnia, ma era una luce insolitamente priva di parole. In tarda serata mia madre ha bussato alla porta di camera: «Non è ancora rientrato!» La voce che si spezza sul legno.
«Lo so!» Ho risposto, ma era solo un bisbiglio per me stesso fra i tremiti di freddo e terrore che mi percuotevano come corrente viva. Ero disteso a terra, con il petto nudo sulle pianelle gelate; una mano sporta sotto il letto come a richiamarlo da quel buio spazio sotto la branda che somigliava all’aldilà.

Sorella silenzio:
Di notte la luce della cucina filtrava tra gli spazi sotto la porta e il giornale premuto contro, m’investiva il petto mentre in silenzio ascoltavo il rintocco spaiato delle posate sui piatti: niente chiacchiericcio di televisione, nessun commento alla giornata di scarse vendite in negozio. Ho trattenuto il respiro innumerevoli volte per percepire anche solo un bisbiglio, ma poi la luce si è spenta e ho sentito solo qualche singhiozzo e nient’altro oltre il muro di camera.
Vinto dalla stanchezza sono caduto nell’incoscienza, alternando a infiniti momenti di veglia sparuti sprazzi di sonno. Ogni volta che mi destavo mi accoglieva il silenzio assoluto e l’immagine del cane steso su un fianco oppure il raspare delle sue unghie sul portone di casa. Tuttavia le uniche cose reali erano le pianelle fredde contro la schiena e il formicolio della mano artigliata sulla plastica nera.

Sorella amore e sorella riscatto:
Sono convinto che sia ormai mezzanotte passata mentre ascolto lo stravento che abbatte sulle persiane ondate di pioggia. Cerco il telefono; nell’agitazione del non-sonno deve essere scivolato da qualche parte e proprio mentre tasto intorno per recuperarlo lo schermo s’illumina vibrando per un momento: «Buonanotte. Ti amo!» Leggo nel messaggio.
Lotto per tenerle a bada, ma così come l’acqua si spande sul davanzale, le lacrime fanno altrettanto sul mio viso. «Ti amo!» Sussurro allo schermo che si spegne pian piano precipitando nuovamente la stanza nel freddo buio di tomba.
Lo sento. Avviene. Questa volta non è un passaggio, ma una risalita; è come sfidare a nuoto i marosi con l’acqua che risucchia le tue energie a ogni bracciata e il sale che ti brucia gli occhi. La busta sussulta sotto il letto sbattendo sulle molle della branda: un colpo secco e basta, per un attimo dubito di essere realmente sveglio. Ancora quella risalita che sembra strapparmi il braccio, sento che assorbe le mie energie e insieme la mia stessa vita; il segno sul braccio divampa stagliandosi sul soffitto come una costellazione di fiamme. Poi è ancora buio e la busta ha un nuovo sussulto. Un guaito, un altro sussulto contro la branda e lo stropiccio violento della plastica. «Cazzo! Cazzo!» Serro i denti e mi precipito in ginocchio. La busta è impazzita, si dibatte in ogni direzione e sembra voglia scappare. Ancora un guaito, fortunatamente è troppo tenue per essere udito nell’altra stanza. Lo trascino fuori da là sotto, squarcio la busta e il cane mi salta addosso leccandomi il viso e annusandomi come un pazzo mentre spazza l’aria con la coda. Il suo corpo è caldo, posso sentire il cuore sotto il pelo pulsare vita nelle vene a ogni battito.

I miei genitori sono ripartiti in negozio alle sette del mattino. Non c’è miglior palliativo al dolore del lavoro: io invece ci avevo rinunciato, ed è stato un bene, ora dovevo vivere intensamente fino in fondo.

Ho quattro sorelle… e un fratello.

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