sabato 4 gennaio 2014

Dermatologo o psicologo?

"Beh, Andryad, effettivamente un dottore mi ha visitata. Durante le feste di Natale sono tornata a casa, lasciando la Toscana per una settimana. Mio fratello è medico e quindi mi è venuto naturale chiedere in prima battuta una sua opinione.
Ero consapevole del fatto che fosse una mossa azzardata. Prima di tutto perché non è un dermatologo, poi perché è il tipico fratello maggiore che tratta i più piccoli con superiorità.
E' uno psichiatra, decisamente bravino, e mi ha guardato il collo mettendosi a ridere.
E te mi rompi le palle la mattina di Natale per un tatutaggio venuto uno schifo?” è stato il massimo che ho ottenuto. Ho provato a ribattere che non sono così stupida da farmi tatuare un doppio uncino sul collo, dovendo apparire in video."Non è un segno sempre netto – gli ho spiegato – a volte appare nitido, altre rarefatto".

Allora mi ha controllata con un minimo in più di attenzione, storcendo la bocca. “Sei sempre stata strana, figurati se riesci a farti venire una malattia normale. Non andare dal dermatologo, molto meglio un bravo psicologo.”

E con questa battutina mi ha liquidata e a quel punto mi sono chiesta come mai non riesco a diventare trasparente quando ce ne sarebbe bisogno veramente, tipo durante il pranzo di Natale. Ho provato a concentrarmi mentre provavano a servirmi la seconda porzione di cappelletti in brodo ma nulla, son rimasta sulla sedia visibile a tutti.

L'essere tornata a casa di mia madre per le feste, comunque, mi ha aiutata a notare alcuni particolari. Non so se anche i vostri genitori hanno la simpatica abitudine di raccontare sempre e soltanto gli episodi della vostra infanzia con i quali possono mettervi in ridicolo. Tipo “vi ricordate quella volta in cui *** si è messa le dita nel naso davanti al prete proprio mentre doveva porgere le fedi agli zii che si sposavano?”
E tutti giù a ridere, come se non avessero sentito quella storiella del cavolo mille volte e come se non importasse nulla che avevi, all'epoca dei fatti, più o meno tre anni.

Compreso nell'amarcord familiare, anche lo sfogliare vecchi album.Ho sempre detestato le foto, soprattutto quando mi infilavano il vestitino buono per mettermi sulle ginocchia dello zio di centodue anni, che puzzava di fumo e di saliva, gridando “cheese”! Di quei ricordi mi è rimasta la voglia di vomitare di fronte all'obiettivo e la precisa intenzione di evitare, da adulta, qualunque macchina cattura anima.

Riguardando quelle foto, però, ho notato che sono quasi sempre leggermente sfuocata. Come se la nebbia mi avvolgesse lievemente.
Da qua un dubbio, credo, lecito.

Ma le cose strane che ci stanno accadendo sono in qualche modo legate al passato o no? Mi spiego meglio: sta diventando conclamato un qualcosa che portavamo dentro? E se sì, quale può essere il legame con quello strano segno che ci sta fiorendo sul corpo?

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