Qui le cose si mettono male.
Sono
giorni che non dormo più, quello che è successo il diciassette,
quello che ho fatto il
diciassette è stato terribile.
Ho bisogno di dirlo a qualcuno o rischio davvero di esplodere.
Venerdì diciassette è una giornata uggiosa, i portici e i campanili
sono avvolti da una nebbia spettrale.
Appena arrivo in negozio, lo trovo gremito di clienti, bionde signore
impellicciate e ragazze grasse che usano i leggins come pantaloni,
che alle nove del mattino hanno la necessità di comprare una borsa
nuova. Ma il peggio arriva quando vedo Katia venirmi incontro.
Katia – giusto perché lo sappiate – è la più grande rottura di
palle che abbia mai camminato sulla faccia della Terra. Simile più a
una cassettiera Ikea che a un essere umano, Katia è quella che ha
sempre qualcosa di cui lamentarsi, quella che tu non fai mai bene
niente, quella che ha sempre l'opinione giusta su tutto.
Insomma, so già che sarà una pessima giornata.
«Dai, muoviti,» esclama, «non vedi la gente che c'è?»
«Ciao, Katia, che bello vederti.»
Lei mi punta col faccione rotondo e dall'immensità del suo metro e
sessanta cinguetta: «Non fare lo spiritoso, tu e io dobbiamo fare un
discorsetto!»
«Katia, vorrei ricordarti che non sei tu la store-manager.»
«Non c'entra nulla, qui bisogna lavorare tutti e lavorare bene,»
attacca quella, «no che uno fa le cose a caso e poi gli altri devono
rimediare agli errori …»
«Senti,» taglio corto, frastornato. «Se devi dire qualcosa, dilla
e basta.»
Katia socchiude gli occhietti porcini: «Ieri, quando hai sistemato
il magazzino, l'hai fatto malissimo: non riuscivo a trovare niente!
Ne ho parlato con la store-manager. Qui, caro mio, chi non lavora
bene, se ne va! Chi vuol capire, capisca!»
Io
rimango impalato sulla porta del negozio, incazzato ancor prima di
entrare. Di sicuro ha detto alla store-manager che dovrebbe
licenziarmi, figurati se 'sta troia …!
Reprimo
un urlo rabbioso. Vaffanculo, tu e ‘sto cazzo di negozio
e tutte le vecchie che vengono a comprare borse leopardate!
E poi quella sensazione.
La
riconosco subito, il fiume che straripa, il mandala che si irradia al
di là di me stesso. No, non qui, non adesso!
Zigzagando tra le clienti, mi lancio in magazzino, dove di solito noi
commessi ci cambiamo. Mi appoggio alla porta e respiro. Devo
dominarmi, non posso lasciare che accada qui in negozio.
Dal
fondo dello stanzone intravedo un riflesso rosso-arancio. Una
creatura a quattro zampe sbuca dagli scaffali gremiti di borse e
scatoloni; è completamente avvolta nel fuoco; anzi, non avvolta, la
creatura stessa è
fuoco, un incendio vivente.
Non è il lupo dell'altra volta; gli assomiglia, ma è più possente
e trabocca di furia selvaggia. Sembra più un leone.
E
questo, trilla nella mia testa
la voce di Cher, da dove salta fuori? Non l’hai visto da
nessuna parte, come puoi averlo evocato?
Oh no, invece, l’ho visto nella mia mente, è un ricordo, ma
potenziato.
Beh,
sia quel che sia, insiste Cher,
ora ti dai una calmata e lo mandi via! Concentrati su
pensieri di pace e doma quel mostro.
In tutta risposta il leone si scaglia contro uno degli scaffali e lo
rovescia: con un frastuono disordinato borse e scatoloni crollano a
terra e divampano in un ruggito di fuoco.
«No! No! Fermati!»
Il leone non mi sente nemmeno, atterra con la zampa una pila di
portafogli che s'incendiano in un istante.
«Basta! Fermati!»
Quello mi fissa col suo potente sguardo rosso. Potente molto più di
me.
Non riesco a fermarlo! Sono come su un'auto in corsa, senza più
freni, che continua ad accelerare e accelerare e accelerare …
Esci,
vattene di qui, grida Cher. Ora!
Mi scaglio fuori dalla porta del magazzino gridando: «Al fuoco! Al
fuoco!»
Il negozio si riempie di urla isteriche, mentre compaiono le prime
code di fumo. Katia mi guarda, il viso ciccioso improvvisamente
smunto dal terrore; ammutolita imbocca l’uscita.
Dalla vetrina, intravedo lampi di fuoco che divorano il magazzino. E
mentre in lontananza riecheggiano le sirene dei pompieri, nel caos
dell'incendio una sagoma gigantesca mi fissa coi suoi sinistri occhi
rossi.
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