Per
quello che mi riguarda devo ammettere che un cambiamento c'è stato.
Sostanziale,
direi.
Sparita
la cicatrice?
No,
tutt'altro, è sempre più netta.
E'
che ho seguito parzialmente il consiglio di mio fratello; invece di
andare da uno psicologo, mi sono comprata una pila di libri sul
pensiero positivo, cose strane new age. Quindi, alla fine, mi sto
convincendo che tutto questo abbia un senso e, per dirla tutta, che è
quasi divertente.
Una
vita intera passata a lamentarmi continuamente, a piangermi addosso,
per arrivare a concludere che sono stata patetica.
Torno
a casa con la valigia piena di teorie di Echkart Tolle, Louise Hay,
Deepak Chopra, Norman Peale, e scopro alla tenera età di
quarant'anni che forse non è tutto da buttare.
Mi
presento in televisione con le energie ricaricate e trovo tutto come
lo avevo lasciato. Del pazzo omicida seriale nessuna traccia da un
po', in compenso l'influenza ha messo al tappeto mezza redazione. Il
capo mi chiede se posso gentilmente aiutarli in qualche turno di
conduzione del telegiornale.
E'
una cosa che odio ma dico sì, in fin dei conti mi hanno sempre
trattata con i guanti bianchi, cosa che nella mia caotica metropoli è
impensabile.
Le
telecamere funzionano perfettamente ma quando arrivo io a sedermi
sulla poltrona, iniziano a fare le bizze.
Non
c'è verso di mettermi a fuoco.
Il
regista impazzisce, mi lancia degli accidenti da far impallidire:
scopro che le bestemmie conosciute in Toscana sono molto più
articolate di quanto pensassi.
Nel
monitor di servizio vedo tutto, non sono mica scema. Le luci sono
accese, con quei fari potenti che mettono in evidenza ogni singolo
difetto della pelle e dei capelli. Farebbero prima a mandare in onda
una radiografia.
«Guarda
dritto per favore – sento rimbombare dalle casse – e sorridi, se
ti riesce».
Alzo
lo sguardo e accenno una smorfia, cercando di evitare di vedere
l'effetto finale.
«Ferma,
porca puttana, che non riesco a metterti a fuoco» sento gridare
dalla regia.
Dieci
minuti al tg ed io sono completamente sfuocata.
Entra
il regista nello studio sbattendo la porta, mi fa alzare
spintonandomi di lato e mette un vaso al mio posto, sulla scrivania.
Il vaso è a fuoco, perfettamente.
«E
che cazzo – mi sputa in faccia il collega – sei tu che porti
male. Com'è possibile che sembri trasparente? Vivi forse accanto ad
una centrale nucleare?»
Una
cosa del genere, fino a qualche mese fa, mi avrebbe fatto piangere
senza ritegno.
Adesso
invece mi sento incredibilmente forte, percepisco l'adrenalina che
scorre come un torrente nel mio corpo, sono compiaciuta.
Arrivo
ad una conclusione: è lo stress allo stato puro a farmi diventare
invisibile. Quando capita davanti agli occhi della gente, in qualche
modo, la mia immagine resta visibile, sebbene traballante. Quando non
c'è nessuno, semplicemente, svanisco.
Una
sorta di ancora che getta la mia coscienza, probabilmente. E se
invece mi lascio andare completamente, posso diventare invisibile
quando voglio…
Beh,
ragazzi, sapete cosa vi dico?
Che
non c'è da disperarsi, anzi. C'è materiale per divertirsi un bel
po', alla faccia di tutti.
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