giovedì 2 gennaio 2014

Un canto di Natale.

Chiudi pure tutti i cancelli che vuoi. Accendi luci potenti intorno alla tua casa, attiva gli allarmi, assolda quanti scagnozzi desideri; non sarai mai al sicuro con me. E questo lo sai.
Lo senti.
Lo vedo da come ti aggiri nell'immenso giardino della tua villa, da come ti muovi rasentando il perimetro della tua casa, da come ti volti indietro non appena fa buio.
Hai intuito, te lo devo riconoscere.

Non puoi fermare l'oscurità. L'oscurità è come il freddo. Puoi coprirti di pelliccia, certo, puoi bruciare legna e gas per tenere a bada il gelo ma questo è sempre presente, costante, sempre in paziente agguato. Non appena il fuoco vacilla, la sottile bolla che ti dava sicurezza si incrina, e il freddo pervade ogni cosa. Uccide ogni cosa.
E sai perché? Perché il gelo è lo stato naturale delle cose, così come le tenebre. Il calore e la luce sono beni passeggeri che necessitano di energia e si disperdono in un istante. Il buio no, il buio è eterno.

Io sono in attesa, dove non puoi vedermi, dove non oseresti guardare poiché ti terrorizza l'idea che qualcuno possa celarsi esattamente dove non lo vorresti.
Ma io sono in attesa.
Tu mi hai rubato anni preziosi della mia vita, incatenandomi ad un mondo che non volevo, ad una scrivania che non desideravo, con promesse che non hai mantenuto.
E io ti porterò via ogni cosa.
Efficientemente, regolarmente, con pazienza come le tenebre che circondano la tua ricca villa quando tramonta il sole. Come l'oscurità che inonda le grandi stanze della dimora che hai comprato con il mio sudore e la mia schiavitù.

Man mano che le ombre si allungano io posso muovermi in esse.
E' una cosa strana, una sensazione bizzarra di divina potenza. Mi aggiro per le stanze.
Sono belle, moderne, ampie. Non esattamente come il monolocale in cui vivo io. Ma a me certe cose non importano, vero? Io sono un inventore, giusto? Che se ne fa uno come me di certe cose?

Non riesci a dormire stanotte, non lo sai il perché ma lo intuisci. Te ne stai in cucina davanti a un frigorifero d'acciaio grosso come il mio armadio, sembri uno di quei magnati americani che si vedono nei film.
Fuori, dalle grandi vetrate, le luci intermittenti del Natale donano un'atmosfera irreale al tutto.
Hai dato un bacio a tuo figlio; che carino il pigiamino dei Puffi, davvero carino.
Tua moglie dorme già da un po', è ancora una bella donna, lo devo ammettere. Si è affaticata a decorare la casa con delle belle ghirlande dorate, a predisporre tutto per il pranzo di Natale.
Non è ancora arrivato il suo momento, però.

Tu sei un ragno, lo hai sempre detto, ti piace la metafora. Furtivo tessi le tue tele, ti piace vederti così, silenzioso afferri le tue prede.
Bene.
Vediamo cosa succede se al ragno strappiamo una zampina...

Guardalo. Un angioletto. Ha i il tuo viso, ma le orecchie sono tutte di sua madre.
Guarda il suo petto magro che si alza e si abbassa in un respiro tranquillo.
Non ti ha mai detto che nel suo armadio ci sono i mostri vero?
Come potrebbe? Con un padre buono e protettivo come te.
E non ha mai avuto bisogno della luce di compagnia, è già un ometto. Sarà un grande imprenditore da grande come te.

Peccato, amico mio, un vero peccato...




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